22/11/2018
COMMENTI
Il commento
Federico Rampini
Visto dall’America – sia repubblicana che democratica – nello scontro tra l’Unione europea e l’Italia non ci sono buoni e cattivi. Tutti hanno torto, nessuno ha ragione. Oggi, Giorno del ringraziamento, gli americani di ogni credo politico almeno di questo possono essere grati: l’economia va bene, l’occupazione è ai massimi da cinquanta anni.
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Se lo " stato dell’Unione"è ben lungi dall’essere ideale, chi ancora vuol credere nel Sogno Americano può sempre cercare ispirazione nel dettato costituzionale unico al mondo, dove si proclama il «diritto alla ricerca della felicità». A differenza dei trattati europei dove si proclama il dovere di rispettare i numeri aridi e arbitrari del Patto di stabilità. La Commissione di Bruxelles non ispira alcuna simpatia: non solo all’anti-europeista Donald Trump, ma neppure alla sinistra democratica.
Contro i vincoli e le rigidità dell’Unione europea Trump non si è mai espresso, salvo ricordare — indirettamente — anche agli italiani una verità indiscutibile: la Germania continua ad accumulare enormi avanzi commerciali in totale spregio alle regole europee. Il mercantilismo tedesco danneggia gli Stati Uniti, ma molto di più danneggia i vicini europei, che ne pagano le conseguenze con una crescita più bassa.
Barack Obama con gli alleati atlantici ebbe un rapporto ben più stretto ma anche critico. Per otto anni fu tenace, sistematico e insistente nel criticare l’impianto della "stabilità" europea. Stabilità all’insegna della stagnazione. Dal 2009 Obama non lasciò passare un solo G7 o G20 senza incalzare Angela Merkel su questo punto: l’Ue con la sua disastrosa austerity è stata un freno alla crescita globale, oltre che a quella dei suoi Stati membri. Praticamente tutti i premi Nobel viventi dell’economia hanno condannato il rigore tedesco. Sono economisti neo-keynesiani, quindi di sinistra. Oggi si fatica a capire una sinistra europea (quel che ne rimane) "allineata" sulla filosofia Merkel-Juncker.
Due sole economie al mondo hanno una stazza paragonabile all’Ue: gli Stati Uniti e la Cina. Ambedue hanno da molti anni una crescita superiore alla media europea. Né Washington né Pechino hanno mai adottato l’ordo-liberismo tedesco, il feticismo del bilancio in pareggio, la religione dei parametri. Il deficit/Pil sotto Obama schizzò — quando fu necessario — al dodici per cento, cioè al quadruplo di quanto consente l’Europa. Fu così che Obama salvò gli Stati Uniti dalla recessione già sul finire del 2009 mentre le ricette di Berlino-Bruxelles garantivano all’Eurozona un prolungamento feroce di quella crisi. Con la destra al governo l’America vede di nuovo un aumento del deficit pubblico, causato da generosi sgravi fiscali alle imprese. E il rapporto debito/Pil in Cina? È al trecento per cento. I risultati fin qui premiano la flessibilità con cui Obama, Trump e Xi Jinping hanno usato le leve del bilancio pubblico per rilanciare la crescita. Ma il confronto con la realtà non sposta di un millimetro il dogmatismo dell’ideologia tedesca e dei suoi esecutori a Bruxelles.
È chiaro che Stati Uniti e Cina godono di vantaggi particolari. Washington ha il privilegio imperiale di stampare la moneta più desiderata al mondo. Per ragioni storiche e geopolitiche nessuno dubita della solvibilità Usa e i Treasury Bond hanno il mercato più liquido del pianeta. Pechino mantiene, oltre a un vasto apparato di capitalismo pubblico, anche un bel po’ di restrizioni valutarie e limiti ai movimenti di capitali. Di recente la Cina ha ripreso a usare (con moderazione) la svalutazione competitiva del renminbi.
L’Italia non ha le risorse degli Stati Uniti o della Cina. Inoltre ha dei pessimi precedenti. Da tempo i governi italiani trascurano gli investimenti anche quando i fondi sono disponibili; praticano una spesa pubblica assistenziale e improduttiva che non stimola la crescita; altrimenti col nostro livello di debito saremmo la locomotiva d’Europa. Il torto maggiore della manovra economica Conte-Salvini-Di Maio è questo: reddito di cittadinanza e anticipo delle pensioni non sono una strategia per la crescita; non sono un’alternativa credibile alle rigidità Ue; alimentano i peggiori sospetti degli altri Stati membri. Gli stessi risparmiatori italiani non sono convinti, come si vede dalle aste dei titoli pubblici. Disastrosa è l’incapacità di Conte-Salvini-Di Maio di costruire alleanze in Europa: i vicini sovranisti voltano loro le spalle. La procedura d’infrazione nasce anche da queste debolezze gravi. Ma è difficile simpatizzare con la Merkel quando dichiara: «Non possiamo accettare che l’Italia calpesti le regole comuni, dovremo trattarla come abbiamo fatto con la Polonia sullo stato di diritto». In Polonia non risulta che le pressioni europee abbiano ristabilito lo stato di diritto. La logica dell’asse Merkel-Juncker finora ha soprattutto contribuito alle spinte sovraniste e anti-europee.