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L’ERRORE DEI SOVRANISTI

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 L’analisi

 Daniele Bellasio 


Il più banale e dunque grave errore dei sovranisti italiani è quello di pensare che ci possiamo permettere di essere sovranisti. I sovranismi veri, quelli non manipolati da manine sospette, sono abbastanza grandi per badare a loro stessi. Noi no. Perché il sovranismo, nel mondo a economia globale, significa in sostanza isolazionismo, autarchia. E l’isolazionismo è una visione politica che si possono permettere, peraltro per brevi periodi, soltanto nazioni leader dal punto di vista politico, economico e militare, e fortunate dal punto di vista geografico o geostrategico. Questo insegna la storia, a volerla leggere. Massì, andiamo avanti, e che importa se gli investitori internazionali e italiani hanno paura dei nostri conti in rosso, che importa se l’Europa ci boccia e ci mette dietro la lavagna, che importa se la Francia non ci tratta da interlocutore affidabile, che importa di tutto e di tutti gli altri; noi possiamo andare avanti, anzi, dobbiamo andare avanti, perché lo abbiamo promesso agli elettori, perché ce lo hanno chiesto gli elettori. Ma andare avanti da soli? Sicuri che noi possiamo? Sicuri che vi abbiano chiesto questo? Sicuro, ministro Salvini, che in questo modo ci si possa candidare alla guida dell’Europa e dunque degli europei, non solo degli italiani, come ha detto nell’intervista a Repubblica? Se perfino Donald Trump ha bisogno di un accordo con il Canada e poi con il Messico, e magari in sostanza cambia solo il nome e qualche dettaglio a un trattato? Gli Stati Uniti d’America sono la prima potenza economica, politica e militare al mondo. Dettano la linea nel Fondo monetario internazionale, nella Banca mondiale e pesano moltissimo nell’Organizzazione mondiale del commercio e nell’Onu. Sono autosufficienti dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico. Hanno la moneta di scambio globale. Sono in sostanza un continente a sé circondato dal mare e protetto dalla più potente Marina del mondo. Eppure perfino l’isolazionismo trumpiano deve fare i conti con la realtà del mondo interconnesso, dove ogni crisi è vicina. Se perfino la Gran Bretagna, isola con tendenze isolazioniste da almeno un millennio, forse più, sta implorando un qualche accordo con l’Europa per lasciare l’Unione senza farsi troppo male. Se perfino Germania e Francia, nazioni europee dalla forza economica e dalla fierezza patriottica di sé non atrofizzate, cercano di accendere e riaccendere i motori europei, quando si spengono. Se perfino la Cina chiederà aiuto alla Wto per proteggersi dai dazi di Trump e cerca nuovi alleati a Mosca, in Europa, in Africa perché sa – dico, la Cina – che da sola non sa a chi vendere i suoi prodotti e da chi comprare materie prime ed energia che le servono. E anche la Cina è un continente più che una nazione. Se perfino principi dello spirito dei tempi sovranisti come lo zar russo Vladimir Putin o il sultano turco Recep Tayyip Erdogan, appena la loro moneta balla un po’, riscoprono le buone sorti progressive del dialogo con alleati di peso. L’Italia è un paese produttore ed esportatore, sconfitto nella Seconda guerra mondiale e politicamente sempre più marginale negli scenari del mondo che vanno a trovare equilibri di potenze altrove. Non ha energia per produrre, a volte vien da pensare anche dal punto di vista metaforico e non soltanto industriale. Vive di buoni rapporti politici e commerciali almeno dal ’ 45. Non ha un peso specifico significativo in alcun consesso globale, se non nell’Unione europea. E nell’Unione europea aveva e ha ancora un posto e un ruolo di riguardo in quanto paese fondatore e popolo da sempre europeista. Giochiamoci pure questo ultimo, nostro punto forte, e poi allora sarà la realtà a farci comprendere come si soffre e quanto si paga ad andare avanti da soli. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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