18/7/2018
ECONOMIA
La storia
L’ad Blankfein lascia la banca dopo 12 anni Arriva Solomon, ma il futuro è da disegnare
FEDERICO RAMPINI
Si chiude un’epoca, cambia il vertice della banca più potente del mondo. Il passaggio delle consegne da Lloyd Blankfein a David Solomon non susciterebbe la stessa attenzione se non fosse per la magia di quel nome: Goldman Sachs. Magia demoniaca, per molti. Nessun’altra banca al mondo è così strettamente identificata con l’idea di alta finanza, speculazione, poteri forti. C’è una buona ragione, anzi due. La prima sta nell’eccezionale elenco di potenti della terra che vengono dalla Goldman e da lei sono stati “prestati” alla politica o alle banche centrali. Ben tre segretari del Tesoro americani: Robert Rubin (Amministrazione Clinton), Hank Paulson (Bush Junior) e l’attuale Steve Mnuchin. Tra i banchieri centrali oltre a Mario Draghi anche un governatore canadese e un britannico hanno avuto qualche trascorso con la Goldman. Così come – solo per parlare dell’Italia – Claudio Costamagna e Mario Monti (quest’ultimo solo per una consulenza). Nel resto del mondo la lista diventa troppo lunga. Si è sedimentata così l’idea che la Goldman sia la cupola suprema dell’establishment, capace di condizionare le agende dei governi. L’altra base del mito è la crisi del 2008 originata dal crac dei mutui subprime. Perché da quella crisi Goldman uscì quasi indenne, mentre la maggior parte delle sue concorrenti furono ben più penalizzate. Una delle ragioni venne individuata in un gigantesco conflitto d’interessi: mentre Goldman come tante altre partecipava alla costruzione dei titoli derivati e quindi disseminava sui mercati la finanza tossica con dentro la bomba a orologeria dei subprime, al tempo stesso scommetteva contro i propri clienti puntando sull’insolvenza di quei titoli.
Il rischio di cotanta potenza, e della fama conquistata, è che certi exploit diventino irripetibili. E’ una delle sfide che attendono Solomon. Personaggio sorprendente, non un banchiere tipico visto che per hobby fa il deejay in un club di ballo, e col nome d’arte D-Sol ha realizzato un remix dei Fleetwood Mac (lo potete ascoltare su Spotify). Eredita una banca in buona salute, nell’ultimo trimestre l’utile netto è salito del 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, raggiungendo 2,57 miliardi di dollari. Ma dietro le apparenze i problemi ci sono. Certe attività di trading e investimenti speculativi sono diventati meno attivi o meno redditizi: un po’ per la situazione dei mercati, un po’ per le regole più stringenti della normativa post-crisi (soprattutto la legge Dodd-Frank). Goldman ha cominciato a esplorare mestieri che per lei sono nuovi: si espande nel credito al consumo, è più intraprendente nel mondo delle start-up tecnologiche. Le brutte sorprese possono arrivare al primo rovescio di congiuntura. Per esempio, una corrente di analisti è convinta che in America sia tornata una bolla del credito al consumo, con indici d’indebitamento delle famiglie vicini alla soglia di guardia.
Anche la potenza politica della Goldman ha i suoi rovesci. Da una parte è stato notato che il presidente anti-establishment si è affidato al non plus ultra dell’establishment per molti posti chiave della sua Amministrazione. Un anno fa la squadra Trump annoverava cinque uomini e una donna venuti da quella banca, al punto da essere battezzato Government Sachs. Da allora alcuni se ne sono andati (Gary Cohn, Steve Bannon, Dina Powell). Dal punto di vista dei risultati, il bilancio è problematico. Di certo si è imposta nell’agenda delle riforme trumpiane la deregulation finanziaria, una retromarcia almeno parziale rispetto ai limiti dell’era obamiana. Su un altro fronte, come dimostrano le dimissioni di Gary Cohn da capo dei consiglieri economici, Government Sachs ha fatto cilecca: il protezionismo è contrario ai suoi principi e ai suoi interessi. La rotta di collisione con la Cina non piace a Wall Street. La finanza è uno dei settori dove l’America ha avuto ricadute positive dalla sua simbiosi con l’economia cinese. Il più importante degli ex-Goldman al governo, il segretario al Tesoro Mnuchin, viene scavalcato da Trump che sulle politiche commerciali preferisce i consiglieri sovranisti come Peter Navarro. Non sarà facile per Solomon ripetere la performance del suo predecessore: sotto Blankfein il valore delle azioni Goldman è salito del 57%. Negli ultimi anni ha cominciato a sentire sul collo il fiato dei concorrenti: in un business come il trading di azioni ha avuto risultati peggiori delle principali banche americane.
REUTERS
Staffetta
David Solomon il nuovo capo di Goldman Sachs è un apprezzato deejay. Sostituisce Lloyd Black, qui sopra