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Casamonica, mafia di Roma “Di noi dovete avere paura”

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18/7/2018
CRONACA
Retata capitale

Trentatré arresti nel clan, per la prima volta la procura contesta l’associazione mafiosa Tra le vittime di usura il dj Baldini. Minacce per far suonare Il Padrino ai funerali del patriarca
Federica Angeli Maria Elena Vincenzi,
roma
« I Casamonica sono come una ragnatela, sono dappertutto » . È solo una delle definizioni contenute nell’ordinanza che ha portato all’arresto di 33 esponenti della famiglia da parte dei carabinieri che ne stanno ancora cercando altri quattro. Un’operazione che ha assestato un duro colpo al clan al quale, per la prima volta, viene contestato l’associazione di stampo mafioso, il 416 bis.
Famiglia numerosissima di origine sinti, quella dei Casamonica, radicata nella periferia sud- est di Roma e dedita da anni a spaccio, usura, estorsioni, che teneva sotto scacco un intero quadrante della città grazie al terrore. Un’organizzazione gerarchica e capillare nella quale anche le donne avevano un ruolo, soprattutto se gli uomini finivano dietro alle sbarre. Hanno tutti nomignoli. Ci sono Antonietta detta “Dindella”, Massimiliano detto “ Ciufalo”, Domenico detto “Balù”, Giovannina detta “ Balì” e Pasquale Rocky”.

Mai una denuncia

Lo scenario dipinto dal gip Gaspare Sturzo descrive la più classica delle storie di mafia. Una roccaforte piccola e presidiata, alla periferia della Capitale, vicolo di Porta Furba. Una terra di nessuno in cui le forze dell’ordine non posso entrare, ma dove, invece, fanno la fila i tossicodipendenti in cerca della loro dose. È qui che vivono i Casamonica, parenti degli Spada di Ostia (tra gli arrestati anche il pugile Domenico), in abitazioni modeste trasformate in regge barocche di tanto lusso e poco gusto. E un quartiere ostaggio dei loro soprusi. Ci sono pagine e pagine di testimonianze raccolte dal procuratore aggiunto Dda Michele Prestipino e dal pm Giovanni Musarò che descrivono il clima di puro terrore nel quale si muovono, indisturbati, i Casamonica sui loro macchinoni e con i loro Rolex da decine di migliaia di euro al polso, quasi un segno distintivo. Il giudice parla di « omertà e assoggettamento: anche solo l’evocazione — scrive — del nome Casamonica ha letteralmente terrorizzato le persone offese » che per questo motivo «non hanno mai presentato denunce pur a fronte di situazioni obiettivamente insostenibili ».
Chi dice di avere paura per la famiglia, chi per il lavoro. « Sono degli animali che squartano le persone, lo sanno tutti » . Ancora: « Mi fanno venire un’ansia, ho paura di questa gente. Sono quindici anni che per periodi gli do i soldi e poi dopo mi trovo in difficoltà e non glieli do. E ti rivengono a cercare. Io neanche sotto tortura li denuncerò » . Negli atti, si leggono anche le frasi minacciose che il clan rivolge alle vittime: «Dei Casamonica devi avè paura perché noi siamo tanti e se pure vado in carcere te vendono a cercà in 100 e nun campi più».

Strozzini di professione

Il core business è l’usura. Le vittime una volta contratto il debito non si liberavano più: i Casamonica non li lasciavano andare. Oltre a molti commercianti della zona e non solo, anche il conduttore radiofonico Marco Baldini e uno dei figli di Franco Zeffirelli. Spiega a Radio Capital l’ex spalla di Fiorello: «Chiesi un prestito che poi ho restituito, mai subito violenze, mai pagato interessi, non sono tutti criminali, ho molta più paura di un magistrato che pensa che io non dica il vero». Ma a raccontare invece dei pestaggi sono in molti. Uno dei due pentiti, un uomo che lavorava con loro e l’ex compagna di Massimiliano “Ciufalo”, ha raccontato di un pestaggio ai danni di un giovane, colpevole di aver consegnato droga di cattiva qualità. «Un ragazzo che non avevo mai visto prima fu condotto da Salvatore Casamonica all’interno dell’abitazione di Giuseppe e massacrato di botte dai fratelli, in particolare da Giuseppe, da Salvatore, da Enrico e da Pasquale. L’abitazione è accanto alla mia e si sentivano distintamente il rumore degli schiaffi e le urla della vittima. Dopo un po’ questo ragazzo svenne e temevano fosse morto».

Come la ‘ndrangheta

Una famiglia unita. E organizzata. «Noi zingari siamo come i calabresi, abbiamo delle regole, siamo come la mafia, abbiamo una gerarchia » . Giuseppe Casamonica si vanta della forza del suo clan. E spiega a un suo socio in affari come lui e i suoi familiari sono diventati potenti. « Io non conosco a Roma una persona sulla faccia terra che se mette a fa’ la guerra contro de noi, perché sa che perde perché quando dici Casamonica a Roma sai che hai un problema, a noi qui ce conoscono tutti».

La banda costretta a obbedire

Agosto 2015. Nella parrocchia Don Bosco al Tuscolano, vengono celebrati in pompa magna i funerali di uno dei patriarchi della famiglia, Vittorio. La notizia fa il giro del mondo: strada bloccata, processione, elicottero che lancia petali di rosa mentre la banda suona la colonna sonora de Il Padrino. Uno dei musicisti racconterà ai pm: «Ricordo molto bene che prima che cominciassimo a suonare, è venuto verso di noi un uomo sui 50 anni, con fare prepotente ha detto: “ Dovete suonare il Padrino”. Noi non abbiamo accolto questa richiesta, dicendo che avremmo preferito le marce funebri ma lui ha risposto: “ Qui si fa come diciamo noi”. L’atteggiamento e la presenza di tanta altra gente della sua famiglia ci ha portato ad eseguire quanto richiesto ».

I rapporti con le altre mafie

«I Casamonica sono malati di potere, hanno la necessità di dimostrare che sono potenti e questo si dimostra mediante i rapporti con altre organizzazioni criminali » , racconta la pentita. Agli atti dell’inchiesta, infatti, ci sono vecchi rapporti con la Banda della Magliana. Amicizie con Massimo Carminati, ma anche relazioni con la ‘ ndrina Nirta Strangio di San Luca e con il camorrista Michele Senese.
Rapporti di collaborazione, da un lato, di ostilità dall’altro. Perché a Roma, dice Peppe Casamonica « ci stanno i Casamonica e basta. Andò stamo noi nessuno viene a rompere il cazzo». È il caso degli albanesi, dei quali il boss dice: «Gli abbiamo rotto le ossa e li abbiamo mandati via».

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