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LA SINDACA SI DIMETTA

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14/6/2018
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Dopo gli arresti per lo stadio della Roma

Sergio Rizzo
La reazione di Virginia Raggi aruoli invertiti è facilmente intuibile: avrebbe chiesto le dimissioni immediate del sindaco. Una richiesta sacrosanta. Il consigliere più stretto ai domiciliari con l’accusa di essere un corrotto nell’affare dello stadio della Roma. Il capogruppo in consiglio comunale indagato, insieme a un assessore municipale e altri due esponenti del Movimento 5 Stelle già candidati alle politiche del 2018. Come potrebbe affrontare tale sfacelo politico un sindaco eletto dopo aver giurato «onestà», se non rimettendo il mandato?

Ben più dei singoli episodi, le 288 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare descrivono lo scenario di un clamoroso fallimento politico per chi si era presentato come la purga del vecchio sistema del malaffare.
Nel settembre del 2016, annunciando il “niet” della giunta grillina alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024, Virginia Raggi proclamò: «Sarebbero il pretesto per ulteriori colate di cemento sulla città». Lasciando intendere, con il suo « No alle Olimpiadi del mattone», come la porta ai rapporti incestuosi che da almeno un secolo e mezzo a Roma legano la politica agli interessi dei palazzinari, con maleodoranti tornaconti, fosse ormai sbarrata. Quel vecchio sistema, invece, come dicono quelle 288 pagine, ha continuato a funzionare con la precisione di un orologio svizzero. Come dimostra un particolare: a condurre i magistrati su questa nuova pista sono state le intercettazioni telefoniche relative a un’altra inchiesta per corruzione, quella che coinvolge l’immobiliarista Sergio Scarpellini e l’ex braccio destro della sindaca, Raffaele Marra.
C’è un rispettabile avvocato, stimato dai vertici del Movimento 5 Stelle al punto da essere indicato per il delicatissimo ruolo di consigliere della sindaca, poi vicinissimo anche al capo politico grillino Luigi Di Maio e al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Si chiama Luca Lanzalone e a lui, paracadutato da Genova, città di Beppe Grillo, subito dopo l’uscita di scena di Marra, viene affidato l’incarico di risolvere la patata bollente dello stadio della Roma. Una colossale operazione edilizia nella periferia della Capitale già autorizzata dalla precedente giunta, che aveva un obiettivo prevalente su quello sportivo: risolvere alcuni seri problemi finanziari di tutte le parti in commedia. Esattamente ciò che Virginia Raggi avrebbe chiamato una « colata di cemento » , ma non paragonabile alle Olimpiadi. E non solo per le dimensioni. Perché non tutte le colate sono uguali: quelle dove c’è in ballo il consenso sono diverse.
Ecco allora il solito gioco che si mette in moto, con i soliti metodi. La politica che alza qualche ostacolo perché l’imprenditore di turno scopra qual è il prezzo per farlo abbattere. E se per caso salta fuori un assessore ostinato che non ci vuole stare, tipo il responsabile dell’Urbanistica Paolo Berdini, allora il costruttore e il rispettabile avvocato mediatore lavorano insieme per metterlo fuori gioco. Dice tutto, a proposito di quanto fosse oliato il meccanismo, quello che scrivono i magistrati nell’ordinanza: «Con assoluta evidenza Luca Parnasi e Lanzalone procedono all’unisono, elaborando insieme strategie che attengono a progetti che l’imprenditore intende intraprendere e realizzare nel Comune di Roma». All’unisono. Dove sia la differenza rispetto a quello che sempre è accaduto nella capitale d’Italia, martoriata da corruzione e speculazione, francamente non si riesce a comprendere. Mentre è chiara una cosa: se chi governa Roma avesse profuso nella pulizia urbana e nella cura delle strade le stesse energie spese nell’operazione dello stadio, la città non verserebbe oggi in condizioni pietose.
Ovviamente Virginia Raggi era all’oscuro delle trame ricostruite nelle indagini. Ma non le poteva certo sfuggire il contesto in cui la vicenda procedeva, né il punto di approdo. Lanzalone era il suo consigliere, che lei stessa ha premiato nominandolo presidente dell’Acea. Né la giustificazione che quel rispettabile avvocato genovese le sia stato imposto da altri, magari dagli stessi vertici del Movimento, potrebbe alleggerire la posizione della sindaca in questo frangente. Tutt’altro. Il fallimento politico, in ogni caso, è suo. Lei ne porta la responsabilità oggettiva. E lei ne deve trarre le conseguenze, se vuole salvare almeno una briciola di questo fantomatico nuovo che avanza.
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