7/6/2018
COMMENTI
Il governo 5S-Lega, Putin e la Nato
Federico Rampini
Basterà la sponda di Donald Trump a salvare Giuseppe Conte dall’isolamento internazionale? Si è aperta una “questione atlantica” per il neonato governo italiano. Il tema del nostro allineamento nella Nato si aggiunge agli altri fronti aperti: quello sui conti pubblici con l’Europa, quello sui migranti con paesi del Nordafrica come la Tunisia. Da Washington alle capitali europee, l’affidabilità di Roma nel quadro delle alleanze è avvolta da nuovi interrogativi. Il presidente del Consiglio ha suscitato questi dubbi quando si è detto favorevole a rivedere le sanzioni economiche contro la Russia. Gli ha risposto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: «Quelle sanzioni danno il messaggio che quanto la Russia ha fatto in Ucraina ha delle conseguenze. La Russia deve cambiare comportamento prima che le sanzioni siano rimosse» . Angela Merkel da parte sua ha ribadito che non è all’ordine del giorno il rientro della Russia nel G8 finché rimane aperta la ferita dell’annessione della Crimea, in violazione del diritto internazionale. Su questi temi i primi passi del governo Conte vengono osservati con molta attenzione. È significativo il giudizio contenuto in una lunga analisi del New York Times: « Dei partiti populisti e russofili sono al potere in Grecia, Ungheria, Italia, Austria. Putin vede a portata di mano il suo obiettivo di eliminare le sanzioni, senza neppure fare compromessi sull’Ucraina». In quell’elenco di paesi definiti “russofili”, l’Italia è di gran lunga il più grande e il più importante nel dispositivo Nato.
Il primo test internazionale per il presidente del Consiglio arriva prestissimo: è il G7 in Canada questo weekend. Sarà un G7 molto anomalo. La totale inesperienza di Conte passerà in secondo piano rispetto al tema dominante: l’isolazionismo americano, la guerra commerciale che Trump ha scatenato contro l’universo mondo, ammucchiando indistintamente tra i bersagli dei suoi dazi un vero antagonista (la Cina) e degli alleati fedeli (Europa, Canada). Il contesto è talmente inedito, che può aiutare Conte o ridimensionare la severità del suo “esame”. L’impreparazione del premier italiano diventa meno drammatica quando al G7 partecipa un presidente americano che si vanta di non leggere i dossier. I sospetti di russofilìa o intesa col nemico, hanno colpito Trump molto prima di Conte. In effetti il leader del mondo libero — come si definiva una volta — aveva flirtato sfacciatamente con Putin dal 2016 e avrebbe inaugurato volentieri una stagione del disgelo con Mosca. Poi gli è scoppiato fra le mani lo scandalo del Russiagate che ha rovinato i suoi piani creandogli ostacoli interni. Ma non sarà Trump a dare lezioni ( credibili) di atlantismo. Questo G7 prima ancora di aprirsi lo vede già nella veste dell’imputato: Germania, Francia e Canada lo accusano di sospingere i suoi alleati nelle braccia di Putin e Xi Jinping. Se il governo Conte scivola in quella direzione, verso Est, gli si riconosceranno delle attenuanti?
C’è poi la tentazione di minimizzare la svolta russofila di Lega-M5S, invocando i precedenti storici. L’Italia ebbe anche in passato la tentazione di smarcarsi, prendere le distanze dall’Occidente. Un po’ per la forza del Partito comunista italiano, un po’ per l’influenza del Vaticano, un po’ per interessi economici e posizione geografica. La nostra politica estera fu accomodante con l’Urss ai tempi in cui la Fiat di Valletta costruì Togliattigrad; fu filo- araba con l’Eni di Enrico Mattei che sfidava le Sette Sorelle petrolifere anglo- americane. Pagammo però anche dei prezzi, e non solo (forse) per la fine tragica e misteriosa di Mattei. Va ricordato il “ fattore K” ( copyright di Alberto Ronchey) che precludeva l’ingresso del Pci al governo. Oppure i pesanti sospetti americani che aleggiarono sul duo Berlusconi- Putin: trapelarono dalle rivelazioni di WikiLeaks sui messaggi che l’ambasciata Usa di Via Veneto trasmetteva al Dipartimento di Stato. Oggi un “fattore R” come Russia crea un alone di sospetti in particolare sulla Lega di Matteo Salvini, il partner di governo più esplicito nella sua vicinanza a Putin. Del nuovo Zar bisogna ricordare la continuità con i grandi del passato, come Alessandro e Caterina: notevoli strateghi in politica estera, fallimentari nel modernizzare l’economia e la società russa. Putin come loro, è un gigante nello scenario geopolitico, ma ha un disperato bisogno di capitali europei perché la sua economia resta nana.
Conte e i suoi azionisti politici possono trovare indulgenza o comprensione presso Trump. Ma dovranno misurarsi con un’altra America che pesa, chiamiamola establishment o Deep State (il termine preferito da Trump). Ne fanno parte i militari, che condizionano la Casa Bianca dall’interno. Per questo establishment un’Italia filo-russa è un problema serio, un alleato da tenere sotto osservazione. Forse anche da escludere nelle consultazioni importanti. Le convergenze potenziali con Trump potrebbero non bastare a salvare il governo Conte da una cortina di sospetti e precauzioni che ne farebbero un sorvegliato speciale. Quanto pesi la visione e la continuità di questo establishment lo ha dimostrato la scelta — dopo l’avvelenamento di un ex- agente russo in territorio inglese — di varare nuove sanzioni contro Putin. C’è un’America per la quale la solidarietà atlantica rimane un valore essenziale.
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