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LA PALUDE SPAGNOLA

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1/6/2018
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L’analisi

Javier Moreno
Ameno di accadimenti realmente straordinari, questo pomeriggio Mariano Rajoy cesserà di essere presidente del governo spagnolo. Avverrà intorno alle cinque, quando si voterà la mozione di sfiducia che prevedibilmente convertirà in capo dell’esecutivo il leader socialista, Pedro Sánchez. Sempre che lo stesso Rajoy non si dimetta prima, per bloccare, anche se solo temporaneamente, il processo parlamentare che minaccia di espellerlo dalla politica, di cui è protagonista da decenni.
Soltanto poco più di un anno fa, il Partito popolare minacciava velatamente di convocare elezioni anticipate, sicuro di incrementare il proprio vantaggio parlamentare di fronte ai suoi avversari. Appena otto giorni fa, Rajoy era riuscito a far approvare al Congresso la legge finanziaria, cosa interpretata da quasi tutti gli analisti politici come una boccata d’ossigeno per riuscire a portare a termine la legislatura. Anche tenendo conto della velocità vertiginosa con cui si succedono gli eventi politici da un po’ di tempo a questa parte (in Italia lo si sa bene), quanto successo in Spagna nelle ultime 48 ore ha pochi precedenti. Come spiegarlo?
C’è un detonatore immediato. Sette giorni fa è stata resa pubblica la sentenza del cosiddetto caso Gürtel, una trama corruttiva del partito di Rajoy esplosa per la prima volta nel 2009. Dopo quasi dieci anni di rivelazioni giornalistiche, indagini di polizia e inquirenti e processi in aula, gli spagnoli si erano abituati a una specie di rumore di fondo che sembrava incapace di alterare la realtà politica. Ecco perché, quando è arrivato, il colpo, se possibile, è stato ancora più assordante: la sentenza ha condannato il Pp come beneficiario di un « sistema di corruzione istituzionale», ha spedito in prigione per 33 anni il suo ex tesoriere, ha certificato che la formazione conservatrice per anni ha tenuto in piedi una cassa con fondi neri e, come se non bastasse, ha messo in discussione la credibilità dello stesso Rajoy, che sul banco dei testimoni aveva negato, di fronte al tribunale, l’esistenza di questa “ cassa B”. La legislatura era liquidata. Ciudadanos, il partito che con i suoi voti sosteneva Rajoy in Parlamento, ha chiesto immediatamente la convocazione di elezioni anticipate. Poco dopo, i socialisti hanno presentato una mozione di sfiducia, che sarà messa ai voti questa sera. Rajoy era finito. Altro discorso è se lui ne fosse cosciente, in quel momento.
Il detonatore immediato è stato senza dubbio la sentenza. Ma c’è anche un’altra causa, che risale più indietro nel tempo, ed è il modo di governare di Rajoy, o per meglio dire il suo modo di non governare per anni, che ha condotto la Spagna alla crisi politica, costituzionale, e io direi anche etica e morale, più grave da decenni a questa parte. Ha lasciato imputridire la crisi in Catalogna, per incapacità, perché credeva che potesse avvantaggiarlo politicamente o per entrambe le cose. Ha consentito la corruzione nel suo partito, anche in questo caso, per inerzia o per incapacità, considerando che lui stesso compare nella contabilità di quella “cassa B”, ora certificata dai tribunali, come beneficiario per anni di emolumenti extra, in nero. Ha occupato o tollerato l’occupazione e il deterioramento delle istituzioni, dalla giustizia ai mezzi di comunicazione.
Ripartire le colpe a volte è un esercizio difficile, e sempre ingiusto. Sono molti ad avere responsabilità del deterioramento del tessuto democratico spagnolo. Sono molti che verranno giudicati colpevoli di fronte al tribunale della storia. Ma Rajoy oggi appare come il maggiore di tutti loro.
I suoi elettori lo stanno abbandonando a vista d’occhio. I suoi indici di gradimento (perfino tra i suoi) sono sempre stati abissalmente bassi, inspiegabili in qualsiasi democrazia europea. Ciudadanos, un partito di recente creazione che un anno fa nei sondaggi era intorno al 12 per cento, oggi viene dato come primo partito (tra il 27 e il 29 per cento), davanti al Pp (a cui ruba molti voti) e ai socialisti (a cui ruba alcuni voti), con un discorso duro sull’unità della Spagna, contro la pessima gestione della crisi catalana da parte di Rajoy e contro la corruzione. Molti pensano che il Pp, in questo momento al quarto posto nei sondaggi, possa scomparire.
Ieri a scomparire è stato Rajoy. Ogni grande tragedia politica necessita di una bella metafora, di un’immagine che fissi in forma simbolica nella retina degli spettatori, dei cittadini, il momento in cui si decide la sorte di un uomo di Stato, il destino di una nazione. Quel momento si è avuto ieri.
Prima che la presidente della Camera sciogliesse i lavori della sessione mattutina, l’uomo che era ancora presidente del governo spagnolo si è alzato dal suo seggio e ha abbandonato l’emiciclo. Non è tornato nel pomeriggio, tra lo sbigottimento dei cittadini, dei giornalisti che seguivano la seduta parlamentare e dei suoi avversari politici, che hanno discusso per ore il destino di un uomo la cui ubicazione risultava sconosciuta alla nazione. Dov’era Rajoy? Gli oratori si succedevano alla tribuna, ma il presidente non si è fatto vedere.
E ora? Pedro Sánchez questa sera potrebbe essere capo del governo spagnolo. E la sua idea è di governare per un po’ e dopo convocare elezioni. Non si sa quando. Per quanto uno possa simpatizzare con le sue intenzioni, in buona fede democratica, non appare ragionevole governare dopo essere arrivato al governo con solo 85 deputati dei 350 che formano il Congresso, senza aver vinto le elezioni, con l’appoggio (fra gli altri) di partiti separatisti che aspirano a liquidare la Spagna abbattendola.
Quando Berlusconi fu estromesso dal potere, scrissi un articolo su Repubblica dicendo che mi rallegravo di quell’evento, ma che avrei auspicato che la sua uscita di scena fosse frutto di una decisione sovrana degli italiani.
Rajoy cade perché la maggioranza del Congresso così ha votato. È democratico, è legittimo ed è auspicabile. Quello che non risulterebbe né democratico né legittimo né auspicabile sarebbe cercare di governare, con i vantaggi che comporta stare al governo, per applicare un programma di governo, indipendentemente dalla sua bontà, senza consultare prima i cittadini. È per questo che risulta necessario andare quanto prima al voto.
( Traduzione di Fabio Galimberti)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Javier Moreno, 55 anni, è stato direttore del quotidiano spagnolo El País dal 2006 al 2014. Per lo stesso giornale è stato corrispondente dal Messico e dalla Germania

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