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Il Quirinale e l’incubo default “Dobbiamo fare presto a dare stabilità all’Italia”

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30/5/2018
POLITICA
Lo scenario
Come domare la bufera finanziaria

Non basta più l’argine di Cottarelli. Mattarella vorrebbe un governo in carica a pieno titolo. E torna a riattivare il ponte con Gentiloni
CLAUDIO TITO
Se Salvini e Di Maio volevano capire quanto fosse fragile il nostro Paese e quanto i cosiddetti mercati possano incidere sulla carne viva degli italiani, ieri probabilmente lo hanno capito.
Lo spread con i bund tedeschi a 320 (come nel 2011), la borsa in picchiata. Tutti i report delle grandi banche con il segno negativo per il prossimo futuro. E con il differenziale rispetto ai titoli di Berlino ancora in fortissima e rapida ascesa. L’asta dei Btp e dei Ctz a due anni molto negativa, come non capitava da un paio di lustri. Una giornata di vero e proprio panico. Con uno spettro che si stagliava non più tanto lontano e che iniziava a aleggiare sul Quirinale: il default nazionale. Tutti gli eventi di ieri pomeriggio sono la coerente conseguenza di questa premessa. Così, mentre il Governatore della Banca d’Italia Visco, nella sua relazione all’Assemblea annuale, metteva in guardia da tutti i pericoli di una finanza pubblica incapace di controllare il nostro mostruoso debito, il presidente della Repubblica Mattarella provava a mettere in piedi una risposta rapida ai timori degli investitori, in particolare quelli americani e tedeschi pronti a disinvestire massicciamente. Il nome di Cottarelli non si rivelava infatti sufficiente a tenere sotto controllo la speculazione. Solo un governo pienamente in carica avrebbe potuto lanciare un segnale. «Dobbiamo fare presto», era la parola d’ordine del Quirinale. Tanto presto che dinanzi alle obiezioni di tutte le forze politiche nei confronti del “nascente” esecutivo tecnico, riprendeva corpo l’ipotesi di tornare al voto subito. A luglio.
Per due motivi. Il primo: provare a piantare qualche punto fermo anche nel giudizio dei mercati e trasmettere l’idea che la stabilità politica sarebbe stata raggiunta in tempi rapidi. Secondo: la sfiducia a Cottarelli obbligherebbe comunque a sciogliere subito il Parlamento.
Due fattori che stavano rendendo inutile il tentativo di far nascere il nuovo governo.
Il filo tra il Colle e Palazzo Chigi si è così improvvisamente riattivato. Il dimissionario Gentiloni - e anche probabile candidato premier del centrosinistra - si ritrovava di nuovo con il peso di guidare il Paese nella seconda campagna elettorale nel giro di tre mesi.
Quel brivido di terrore che aveva percorso in mattinata la spina dorsale delle Istituzioni, a quel punto comincia a scorrere anche in quella dei leader di tutte le forze politiche. La responsabilità del fallimento stava ricadendo sulle loro spalle. Lo spread allora si trasforma in un incubo anche per loro. La prospettiva che il differenziale tocchi quota 500 e che le agenzie di rating declassino l’Italia costringendo la Bce a non aprire più su di noi l’ombrello del Quantative easing, corregge i sorrisi beffardi dei leader di M5S e Lega in una smorfia di paura. Quella di ritrovarsi a comandare un Paese senza futuro.
Per di più c’è il timore - per molti il panico - di affrontare un altro voto. Di Maio, ad esempio, sa che il 32 per cento conquistato tre mesi fa è destinato a contrarsi. E soprattutto l’ombra di Di Battista si è già stesa sulla sua testa. Il Pd non ha trovato un equilibrio e non sa ancora chi sarà il suo leader. Forza Italia è in preda a un lungo travaglio e all’incertezza del suo capo. Solo il Carroccio si sente ancora forte.
Questo insieme di allarmi, però, un effetto lo provocano: Salvini e il capo grillino ritornano a vedersi. L’idea di ritentare la strada del governo politico si fa strada tra gli allarmi finanziari.
Così, d’un tratto, l’impeachment contro Mattarella svanisce nelle stanze del Movimento 5Stelle.
Anzi, Di Maio chiede scusa. Come se nulla fose accaduto, come se non avesse provocato l’altro ieri un vera e propria fibrillazione istituzionale. I grillini sono pronti a cedere quasi su tutto. Mettono in campo di nuovo Giuseppe Conte, ma senza Savona all’Economia. Sospirano il nome dello stesso Cottarelli. Di fronte ai dubbi di Salvini, offrono anche di più: «Fallo tu il premier, o anche Giorgetti». Un presidente del consiglio “politico”, per la prima volta un leghista a Palazzo Chigi.
Persino la Meloni di Fratelli d’Italia apre al sua porta e i forzisti cambiano il loro “no” irremovibile in un “no collaborativo”, pur di non tornare alle urne.
Per Salvini, però, ancora non è sufficiente. È convinto, nonostante tutto, che le elezioni a breve, anche se non a luglio, lo incoronerebbero definitivamente. A suo giudizio, spolperebbe Forza Italia e ridurrebbe i pentastellati a una forza gregaria. E infatti alza la posta: «Nel mio governo voglio Savona ministro». Il Quirinale risponde immediatamente: «È l’unica cosa che non si può fare».
Il leader lumbard, a questo punto, ha solo 12 ore per riflettere. Mattarella invece ha solo 12 ore per capire se deve sciogliere il Parlamento e chiamare gli italiani alle urne sotto il sole di luglio.
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