Il paradosso di un Parlamento pieno di professionisti e dilettanti
di Guido Vitiello
Non che si parli poco di politica; semmai, si parla poco politicamente: è un’arte che stiamo dimenticando con una rapidità e una noncuranza allarmanti. Perché il progressivo richiudersi di quello spazio mentale duttile e sottile, strozzato tra i fanatismi incrociati, i risentimenti cocciuti e le ossessioni più varie, avrà conseguenze ben più gravi dell’esito della guerra, ossia la sconfitta dell’una o dell’altra fazione parlamentare. Ma se è vero che le campagne elettorali sono quasi tutte piuttosto avvilenti, è vero anche che sono tutte rivelatrici di uno stato di cose: e quest’ultima è stata dall’inizio alla fine un patetico cozzare di argomentazioni pre-politiche, post-politiche, extra-politiche, para-politiche e ipo-politiche. Chi più ne ha sofferto, chi più si è sentito spaesato in questo serraglio, sono gli ultimi esemplari, nel bene o nel male, delle tradizioni politiche superstiti (una scenetta da appuntare per i posteri: la faccia mortificata del povero Casini costretto a rispondere, al Piccolo Teatro Gruber, ai sarcasmi puerili di non ricordo più quale nano o ballerina del Fatto Quotidiano). Al computo delle perdite dovremo aggiungere il senno di quegli intellettuali pubblici, politologi, opinionisti e accademici di vario rango – alcuni prestigiosi, o perfino emeriti – che nell’ansia di apprendere la lingua rude dei nuovi barbari hanno finito per disimparare la propria, e che messi davanti alle sottigliezze di un ragionamento politico complesso ti lanciano ormai occhiate da “Graecum est, non legitur”. Alcuni si vanno istupidendo per calcolo o per interesse, altri per dispetto, altri ancora per inseguire qualche inestirpabile idea fissa, una monomania – economica, giudiziaria o d’altro genere – per la quale sarebbero disposti a veder perire il mondo. E così, insieme al professionismo della politica, ne andiamo perdendo anche il dilettantismo nel senso più nobile, quello di un eclettismo curioso e tollerante. In cambio – bel paradosso, o bella nemesi – tutto quel che abbiamo ottenuto è un Parlamento zeppo come non mai di professionisti e dilettanti della politica – entrambe le cose nel senso più ignobile.