COMMENTI
Le disuguaglianze
Joseph Stiglitz
Molti Passi avanzati sono alle prese con una sindrome che sembra suggerire una “economia malata”: disuguaglianza elevata, crescita bassa, investimenti scarsi, crescita della produttività stentata. Lascia sconcertati la debolezza degli investimenti, considerando i profitti elevati e il basso livello dei tassi d’interesse. È un rompicapo in particolare quello che sta succedendo negli Stati Uniti: storicamente sono il Paese più innovativo del mondo, eppure i dati indicano una crescita della produttività mediocre e un ritmo di creazione di nuove imprese basso. Ci sono anche altri enigmi: mentre storicamente i salari sono aumentati parallelamente alla produttività, negli ultimi anni il collegamento tra i due indicatori è saltato, con le retribuzioni ferme nonostante la produttività cresca.
Recenti studi suggeriscono una risposta semplice: la crescente concentrazione del potere di mercato. Il potere di mercato conduce a profitti elevati, ma le aziende monopolistiche sono consapevoli che investendo per espandere la produzione farebbero scendere i prezzi dei loro prodotti, e quindi limitano gli investimenti, nonostante profitti record e tassi d’interesse bassi. Questi monopolisti fanno tutto il possibile — e ci riescono — per creare barriere all’ingresso, in modo da mantenere stabili i loro profitti: da qui il basso livello di nuove imprese. Infine, con la proprietà concentrata nelle mani dei ricchi, l’incremento dei profitti da monopolio si traduce in una maggior disuguaglianza.
Questa visione è supportata da una gran quantità di dati: settore dopo settore, assistiamo a una crescita della concentrazione di mercato; settore dopo settore, assistiamo a una crescita del margine lordo di profitto (il divario tra prezzi e costi di produzione).
Non è solo aumentato il potere di mercato delle imprese, è anche diminuito il potere di mercato dei lavoratori. A causa del declino dei sindacati, di un cambiamento nella struttura della contrattazione, della normativa sul lavoro e dell’interpretazione che ne danno i tribunali, s della globalizzazione. Le aziende possono minacciare i lavoratori che non accattano una decurtazione dei salari o dalle indennità di trasferirsi la produzione altrove, con gli accordi bilaterali sugli investimenti che garantiscono diritti di proprietà più sicuri all’estero che in patria.
In effetti, basta dare uno sguardo ai dati per vedere che non è solo la quota del lavoro che arretra (specialmente se escludiamo dal conto l’1 per cento più ricco), ma anche quella del capitale. L’unica che cross è la quota delle rendite, che include non solo le rendite da monopolio, ma anche quelle associate alla proprietà intellettuale e agli immobili. Un modello di economia in cui le rendite giocano un ruolo centrale si discosta dal modello di economia competitiva illustrato nei manuali, s diverse sono le implicazioni politiche. Pensate all’impatto di un incremento dell’imposta sui profitti aziendali. Nel modello da manuale, la preoccupazione è che tale incremento possa scoraggiare gli investimenti, danneggiando la produttività e i salari. Nel nuovo “modello”, l’incremento dall’aliquota colpisce i profitti da monopolio s altre rendite. L’aliquota più alta può addirittura scoraggiare la ricerca di rendita, conducendo a un incremento dell’efficienza. Inoltre, con un decremento del valore capitalizzato dei profitti da monopolio netti s di altre rendite, si avrà un aumento degli investimenti reali, visto che prima profitti s rendite “estromettevano” gli investimenti produttivi.
Gli effetti si fanno sentire anche dal lato della domanda: con il denaro che si sposta verso il vertice della piramide economica, s una riduzione dei soldi destinati ai consumi, la domanda aggregata si indebolisce. E la debolezza della domanda scoraggia gli investimenti, compresi quelli in ricerca s sviluppo. Si mette in moto un circolo vizioso.
Tutto questo è legato al dibattito sulla riforma del fisco, negli Stati Uniti s non solo. Se questa nuova teoria è corretta, le proposte di Trump, incentrate su una riduzione dell’imposta sui profitti aziendali, se adottate finirebbero per franare la crescita s aumentare la disuguaglianza. Un piccolo Paese potrebbe sperare di attirare investimenti a spese di altri Passi riducendo le tasse (la classica corsa al ribasso), ma per gli Usa i margini sono limitati. Anzi, con il sistema territoriale, per cui la produzione realizzata fuori non viene tassata dal governo americano, la “riforma” fiscale incoraggia le imprese a localizzare la produzione all’estero.
Un governo normale non proporrebbe di aumentare le tassa alla classe media per finanziare una riduzione delle tasse per le grandi aziende, soprattutto in un’epoca in cui la crescita della disuguaglianza rappresenta un problema centrale. Ma questi non sono tempi normali, s Trump non è un presidente normale. C’è un altro circolo vizioso: la disuguaglianza economica distermina una disuguaglianza politica, in particolare negli Stati Uniti, dove la Corts suprema ha rimosso i paletti democratici all’influenza del capitale in politica. I ricchi vedono il mondo attraverso una lente particolare. Controllano gran parte dei media e usano il potere per infettare la visione generale della situazione.
Insomma, i media e i politici di destra propaganderanno le riforme fiscali sotto la bandiera della trickle- down economics, un revival delle teorie economiche reaganian-thatchsrians, ormai screditate. Quelle politiche non produssero un’accelerazione della crescita, al contrario. La trickle- down economics non funzionò: i redditi del 90 per cento più povero della popolazione rimassero farmi al palo, solo i ricchissimi ns trassero vantaggio. Ma il 2017 è diverso dal 1980: ora abbiamo una società più disuguale s un’economia mano competitiva. I tagli delle tasse di Trump, in favore di miliardari s grandi imprese, saranno peggiori di quelli di Reagan: il gettito dello Stato subirà un calo più pesante di quanto ammetta Trump, la crescita a lungo termine verrà compromessa e il problema centrale della società, la disuguaglianza, si aggraverà ancora di più.
(Traduzione di Fabio Galimberti)