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La fine di Mugabe

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mondo
In sella dal 1980 ha trascinato il Paese nel baratro della crisi economica L’ultimo azzardo: portare al potere la moglie Grace Ma i militari lo hanno fermato

PIETRO DEL RE
VOLEVA regnare fino a cent’anni e se l’altra notte l’esercito non l’avesse deposto è verosimile che Robert Mugabe si sarebbe presentato alle presidenziali del 2018, sicuro di vincerle. «Governerò finché Dio mi terrà in vita, senza mai indietreggiare», ripeteva spesso il “vecchio coccodrillo”, come lo chiamano perfino i suoi più fedeli alleati. Eppure, a 93 anni, l’astuzia luciferina con cui ha governato lo Zimbabwe dal 1980, ossia da quando il Paese ottenne l’indipendenza, ha cominciato ad appannarsi. E i suoi stessi collaboratori, a cominciare dalla sua seconda moglie Grace, si dicevano preoccupati per gli sbalzi di pressione e soprattutto per la confusione mentale di cui è sempre spesso vittima l’anziano presidente.
Fatto sta che fino a martedì scorso ha guidato lo Zimbabwe con pugno di ferro. O, come sostengono i suoi oppositori, con la stessa ferocia con cui lo guidò Ian Douglas Smith, il primo ministro e segretario del partito dell’apartheid che Mugabe sconfisse quando il Paese ancora si chiamava Rhodesia meridionale. Una vittoria che in questi ultimi trentasette anni il più anziano e longevo capo di Stato del mondo appena defenestrato non ha mai smesso di celebrare, continuando a farsi passare come l’eroe della lotta contro il regime segregazionista.
Ma Mugabe si è poi tramutato in tutt’altro, ossia nel tiranno che ha trascinato il suo Paese nel baratro di una catastrofica crisi economica e nell’isolamento internazionale. Nato il 21 febbraio 1924, prima di diventare uno dei protagonisti della lotta per l’indipendenza e i diritti della maggioranza nera, studiò dai gesuiti e poi in diverse università africane. Nel 1964 fu condannato a 10 anni di carcere, e una volta rilasciatoriparò in Mozambico, dove divenne prima il capo dell’ala militare del partito Zanu (Unione del Popolo Africano dello Zimbabwe), poi dell’intera formazione politica. Nel 1980 vinse le prime elezioni dopo la fine del regime bianco e fu eletto primo ministro. Da allora ha sempre condotto lo Zimbabwe, di cui è presidente dal 1987.
Il solo successo del suo lungo regno è la creazione di un sistema d’istruzione che ha ridotto l’analfabetismo al 10%. Anche se lo stesso Mugabe ha poi finito per poi dare la caccia con le milizie dei veterani della guerra di liberazione agli insegnanti, buona parte dei quali sono diventati gli oppositori a un governo sempre più dittatoriale e corrotto. E’ stata invece la sua disastrosa riforma agraria, varata nel 2000, a spingere un Paese ricco di risorse minerarie verso la rovina economica. Nel tentativo di risollevare il settore agricolo, il presidente promosse una manovra demagogica quanto disastrosa: l’esproprio delle terre delle poche migliaia di ex coloni bianchi rimasti nel Paese, trasformati nella quinta colonna dello schiavismo moderno. Quelle terre, le migliori del Paese, non furono però distribuite ai contadini più poveri, bensì agli uomini del partito Zanu che sono stati incapaci di farle fruttare. Il risultato è stato catastrofico. Una decina di anni fa, prima di ricorrere al dollaro americano per arginare i disastri della crisi, un chilo di pane costava due milioni di dollari dello Zimbabwe. Da allora, anche perché funestato da diversi anni di siccità, il Paese non ha fatto che peggiorare, tanto da provocare una massiccia emigrazione soprattutto verso il vicino Sudafrica.
Ancora oggi, i dati sono agghiaccianti. Basti pensare che l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, che il tasso di disoccupazione raggiunge il 90%, che si contano meno di 0,5 medici per circa 100mila persone e che la speranza di vita, a causa anche della diffusa piaga dell’Aids, è di 54 anni per gli uomini e 53 per le donne. Di ciò, il presidente continua a incolpare l’Occidente che vede impegnato da sempre a ordire complotti contro la rivoluzione indipendentista. E in un Paese alla stremo, in segno di sfida non si è mai negato nel corso delle sue lussuose feste di compleanno con migliaia di invitati, portate a base di animali in via di estinzione. Ma l’ultima provocazione è quella che gli è costata la poltrona. L’aver esautorato la settimana scorso il suo ex delfino e vice- presidente Emerson Mnangagwa, per spingere la moglie Grace, di 41 anni più giovane, come suo successore.
Lo scorso ottobre Mugabe è stato vittima di una beffa. Appena eletto direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus l’ha nominato ambasciatore di buona volontà. Ma cinque giorni dopo, sommerso dalle critiche provenienti dalle ong e dalle cancellerie di mezzo mondo, ha dovuto ritirare la nomina. Appresa la notizia, il vecchio dinosauro non avrebbe reagito. Perché, dicono i suoi detrattori, pochi giorni prima non aveva capito che l’avevano fatto ambasciatore dell’agenzia Onu.
©RIPRODUZIONE RISERVATA Ha vissuto nel lusso, nonostante la popolazione fosse allo stremo. Da anni dà la caccia ai suoi oppositori politici e la comunità internazionale lo ha isolato Ha ridotto l’analfabetismo e tolto la terra ai bianchi, ma la sua riforma agraria e la corruzione hanno impoverito la nazione e abbassato la speranza di vita
IL VECCHIO DITTATORE
Robert Mugabe in una foto dello scorso 14 agosto mentre passa in rassegna le truppe durante le celebrazioni dell’ Heroes Day, il giorno degli eroi. Quegli stessi militari che si sono ribellati

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