politica e giustizia
Il retroscena.
Nelle indagini Cpl-Concordia e Consip si replica un format che ha per protagonisti la procura di Napoli e il Noe Il giallo delle perquisizioni al padre di Renzi bloccate da Roma
La testimonianza del Procuratore di Modena Lucia Musti al Csm documenta un metodo. Un format. Di cui per altro si erano avvistate da mesi le prime evidenze negli esiti del lavoro inquirente della Procura di Roma sulla fuga di notizie nell’inchiesta Consip. E che, all’osso, e in termini oggettivi (senza dunque avventurarsi in ipotesi sul movente che ha mosso, insieme ovvero separatamente, i protagonisti di questa storia) può oggi riassumersi così. A partire dal 2015, uno stesso reparto investigativo dell’Arma (il Noe), nelle persone degli stessi ufficiali (il colonnello Sergio Di Caprio, il capitano Gianpaolo Scafarto), uno stesso pubblico ministero napoletano (John Henry Woodcock), un medesimo quotidiano (il Fatto), istruiscono e veicolano gli esiti investigativi parziali (in qualche caso manipolati all’origine) di indagini che hanno come bersaglio grosso il Presidente del Consiglio in carica (Matteo Renzi) e la sua cerchia familiare e politica più stretta. Materiale la cui deflagrazione si consuma singolarmente in occasione di passaggi politici cruciali della vita del Paese.
Si tratta dell’indagine Cpl-Concordia (2015). E dell’indagine Consip (2016).
TRE RICORRENZE
Come in un calco, in entrambe le occasioni, il metodo presenta delle costanti. Almeno tre. La prima. La delega alle indagini di polizia giudiziaria (entrambe con l’ipotesi principale di corruzione) viene singolarmente affidata dal pm Woodcock a un Reparto dell’Arma – il Noe – il cui core business è o dovrebbe essere la tutela ambientale e non i reati dei colletti bianchi. E dunque, per aggirare l’ostacolo, e rendere formalmente ineccepibile l’incipit dell’inchiesta e la scelta degli ufficiali di polizia giudiziaria da impiegare, l’indagine muove sempre da episodi che rientrano nelle competenze ampie del Noe. Gli appalti per la metanizzazione a Ischia (Concordia). Irregolarità nelle Asl di Napoli (Consip).
La seconda. Una volta radicata la competenza del pubblico ministero (Napoli) e quella della polizia giudiziaria (il Noe), le indagini procedono con il cosiddetto “metodo a strascico”. Con l’impiego massivo, reiterato nel tempo, e pervasivo, delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Su ciò che resta impigliato nella rete, non sembra esserci alcuna selezione. Neppure quando (è il caso della Concordia), indagando sulla metanizzazione a Ischia e sugli appalti alle coop si finisce per ascoltare un generale della Guardia di Finanza (Michele Adinolfi) discutere con il futuro presidente del Consiglio (Matteo Renzi) e raccogliere le sue considerazioni sull’allora premier (Enrico Letta) cui Renzi intendeva sostituirsi. Il criterio di rilevanza, infatti, ancorché penale sembra essere politico. È rilevante ciò che politicamente è destinato a fare molto rumore (di «bombe » pronte a esplodere, parla del resto Scafarto al Procuratore di Modena Musti anticipandole fuori da ogni regola, nel settembre del 2016, quello che di lì a poco accadrà nell’indagine Consip).
La terza. Le indagini lievitano per mesi fino a quando lo rende possibile la competenza a indagare del pm napoletano. Con una convinzione. Che una volta costruito un percorso e un perimetro investigativo definiti, gli uffici giudiziari che riceveranno quei fascicoli si troveranno, a prescindere dalla solidità penale (normalmente scadente) del materiale raccolto, di fronte a un’alternativa del diavolo. O adeguarsi pedissequamente al lavoro di Napoli. O, al contrario, discostarsene pagandone un prezzo altissimo. Essere venduti cioè all’opinione pubblica come insabbiatori di verità che solo qualche coraggioso aveva saputo e voluto illuminare. Anche perché nel momento in cui il pm napoletano è costretto a spogliarsi dell’indagine a beneficio di altri uffici (Modena nel caso Concordia. Roma, nel caso Consip), quello che è stato un segreto ermetico per mesi, diventa improvvisamente un segreto di Pulcinella. La trasmissione degli atti da Napoli ad un’altra Procura e dunque il loro deposito a beneficio delle parti consente infatti di liberare le carte dalla loro riservatezza, moltiplica il numero potenziale di chi di quelle carte ha conoscenza e dunque rende impossibile l’identificazione di chi quelle carte veicola. Per altro, sempre ad uno stesso quotidiano:
il Fatto. Accade a Modena. Accade a Roma.
IL TIMING CONSIP
Nel caso Consip, del “metodo” si ritracciano le stimmate in ciò che accade nell’arco di soli tre giorni. E in un mese politicamente decisivo per il Paese. Dicembre 2016. Il mese del referendum costituzionale. Immaginata in quella finestra temporale, la discovery della portata politica dell’inchiesta è infatti certa. Quale che fosse stato l’esito del referendum. Una vittoria del “Sì” e un Renzi riconfermato nella sua centralità politica sarebbero stati travolti dalle rivelazioni Consip. Una vittoria del “No” – come accaduto – avrebbe dato a un Renzi politicamente in ginocchio il colpo di grazia.
LE PERQUISIZIONI
È un fatto che sono ancora una volta Woodcock e il Noe a decidere i tempi. La sera del 20 dicembre del 2016, ventiquattro ore prima di trasmettere gli atti per competenza a Roma, a tarda sera, mentre sono a cena in un ristorante, il Procuratore capo di Roma Pignatone e i suoi aggiunti vengono avvisati che Woodcock è a Roma, che Marroni, dopo ore di interrogatorio, ha accusato di rivelazione di segreto di ufficio il comandante generale dell’Arma Del Sette e che, per l’indomani mattina, 21, l’idea sarebbe quella di procedere a una serie di perquisizioni. Compresa quella dei domicili di Tiziano Renzi, padre del premier. Perché la “bomba” scoppi. La mossa viene stoppata. E, curiosamente, il mattino successivo, un primo articolo sul Fatto avvisa della tempesta che sta per arrivare. Quello stesso giorno, il 21, le carte di Napoli arrivano a Roma. Il 22 dicembre, la Procura iscrive al registro degli indagati per rivelazione di segreto il comandante generale dell’Arma, Del Sette, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Lotti (sulle cui posizioni la Procura di Napoli ha trasmesso gli atti senza procedere ad alcuna imputazione). La mattina del 23 dicembre la notizia è sulla prima pagina del
Fatto.
E può cominciare, appunto, un’altra storia.
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