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INTERCETTAZIONI, UN RIASSUNTO NON PUÒ DIRE LA VERITÀ

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GUIDO SCORZA
Certamente viola la privacy chi attraverso le intercettazioni rivela al mondo parole pronunciate perché restassero private e che il mondo non ha interesse a conoscere. Ma viola la privacy ancor di più chi, parafrasando quelle parole, attribuisce a una persona pensieri o opinioni che non le appartengono perché distorce e falsa la percezione della sua identità personale, rappresentandola per quel che non è.
E la proposta di nuova disciplina sulle intercettazioni va proprio in quest’ultima direzione.
Nell’esercizio di sintesi, parafrasi e riassunto che la nuova legge potrebbe imporre a giudici e pm, infatti, vi è inesorabilmente un’attività creativa per effetto della quale la rappresentazione obiettiva delle parole tra virgolette cede il posto a quella soggettiva dell’interpretazione di quelle stesse parole proposta da giudici e pm.
Così il fraintendimento, l’equivoco e l’ambiguità rischiano di diventare la regola, la privacy di ritrovarsi esposta a rischi sempre maggiori e la libertà di parola di pagare due volte: in termini di meno fatti da raccontare sulla base del rigore e dell’obiettività delle parole dei protagonisti e in termini di un incremento delle querele per diffamazione per giornalisti e giornali che sempre più spesso si sentiranno contestare di aver fatto da megafono a incomprensioni, fraintendimenti e equivoci di giudici e pubblici ministeri.
Saranno altre le frasi, egualmente celeberrime, a rimbalzare tra virgolette sulle pagine dei giornali: «Sono stato frainteso », «io non l’ho mai detto», «è tutto frutto di un equivoco».
Rischia di essere una Caporetto dei diritti: meno privacy e meno libertà di informazione.
Il problema è reale, le intenzioni magari buone, l’esecuzione sbagliata. Meglio le intercettazioni tra virgolette che la loro interpretazione soggettiva. L’importante è che quel che finisce negli atti processuali sia rilevante per davvero ai fini del processo e che sui giornali ci finisca solo in presenza di un reale interesse pubblico. Il resto non conta.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
IL DIVIETO assoluto di riprodurre, negli atti processuali, citazioni tra virgolette è una delle principali novità della nuova disciplina sulle intercettazioni. Un progetto controverso che scatena polemiche anche all’interno del governo.
Al posto del “taglia-incolla” delle citazioni dei dialoghi intercettati, pubblici ministeri e giudici potranno inserire «soltanto richiami al loro contenuto».
La disposizione è proposta come una norma “salva-privacy” che dovrebbe valere a scongiurare il rischio che indagati più o meno eccellenti siano consegnati agli onori della cronaca più per quello che hanno detto che per quello che hanno fatto.
Celeberrime alcune frasi saltate fuori dalle intercettazioni che ricordavano ieri, su queste stesse pagine, Dario del Porto e Fabio Tonacci: da «la patonza deve girare», firmato Silvio Berlusconi, al «babbo non ti credo» di Matteo Renzi, passando per «si fanno più soldi con i migranti che con la droga» di Massimo Carminati sino all’indimenticabile «stamo a fa’ i furbetti del quartierino» di Stefano Ricucci & Co.
Un’epopea del lessico, rimbalzata dalle intercettazioni agli atti processuali e dagli atti processuali ai giornali, che ha raccontato contesti e spaccati sociali meglio di fiumi di inchiostro.
Se lo schema di decreto legislativo Orlando diventasse legge sarebbe la fine di questa moderna epopea delle parole tra virgolette e soprattutto la fine della cronaca forse migliore: quella che lascia parlare direttamente i protagonisti delle vicende senza filtri, interpretazioni e parafrasi.
Sarebbe un sacrificio accettabile se valesse, per davvero, a garantire più privacy.
Ma non è così.
Privacy, infatti, non significa solo diritto alla riservatezza, alla segretezza, all’intimità ma anche diritto alla correttezza e esattezza delle informazioni diffuse su ciascuno di noi.

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