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Il paradosso della capitale antica regina dell’acqua costretta a chiudere i rubinetti

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la grande sete
Il racconto.
Il nucleo originario sulla sponda del fiume, la costruzione dei grandi acquedotti, le fontane del centro Dopo secoli di abbondanza, ora il nemico si chiama siccità

CORRADO AUGIAS
C’È UN avvilente paradosso nell’attuale crisi idrica della capitale perché Roma è sempre stata una città ricchissima di acque. In epoche remote era addirittura conosciuta come regina aquarum aiutando la corona di colli che la circondano, il fiume che scorre a fondo valle con i suoi grandi e piccoli affluenti. Del resto l’insediamento primitivo era stato scelto proprio per questo: il fiume in primo luogo (come Parigi, Londra, Francoforte eccetera), poi il basso fondale che assicurava il passaggio da una riva all’altra e che col tempo sarebbe diventata l’isola Tiberina; poi ancora la rocca del Campidoglio a ridosso in ottima posizione difensiva. In parole povere si potrebbe dire che Roma è nata con e dentro l’acqua.
Dal 300 circa a. C. si apre l’epoca dei grandi acquedotti, una delle più rilevanti imprese ingegneristiche dell’antichità. Basta pensare che in assenza di una qualunque forza motrice non animale il deflusso era affidato alla sola forza di gravità per cui diventava fondamentale il complesso calcolo delle pendenze in un territorio ricco di avvallamenti e colline. Nel giro di alcuni secoli la città era alimentata da ben undici acquedotti, il più vasto sistema idrico che mai città antica avesse conosciuto. Secondo il geografo e storico Strabone «per la città scorrevano fiumi»; immagine sicuramente esagerata che però dà bene l’idea di quale liquida ricchezza Roma disponesse.
Cito un episodio che illustra bene la situazione. Quando l’imperatore Lucio Domizio Enobarbo meglio conosciuto come Nerone, nella sua smisurata egolatria volle costruirsi una reggia proporzionata alle sue ambizioni, aggiunse alle varie costruzioni un grande lago popolato di molti pesci, circondato da boschi nei quali circolavano quasi libere fiere importate dall’Africa e dall’Asia. Arricchisco l’episodio con una curiosità supplementare: ancora oggi raggiunto il livello più basso della spettacolare basilica di san Clemente (stradone di san Giovanni) si sente sotto il pavimento un fruscio di acque. Era uno degli affluenti che alimentavano il lago di Nerone al quale gli imperatori della dinastia Flavia, dopo averlo prosciugato, sostituiranno il loro anfiteatro noto come Colosseo. C’era, in parole povere, un’enorme disponibilità di acque che serve anche a capire il proliferare delle terme cui molti imperatori vollero legare il loro nome.
La prima vera crisi idrica arrivò con i barbari, in particolare i Goti che durante il loro assedio concluso con il tremendo sacco del 410, per assetare gli abitanti tagliarono molti acquedotti provocando tra l’altro il danno collaterale delle numerose paludi che saranno prosciugate solo dopo molti secoli. Per strano che possa sembrare oggi, date le condizioni in cui il Tevere versa, per molto tempo i romani ebbero l’acqua del loro fiume come unica risorsa idrica. Se posso inserire un riferimento personale, io stesso nei tardi anni Cinquanta dal secolo scorso ho imparato a nuotare nel Tevere avendo come base un galleggiante subito a nord di ponte Milvio.
In questa controversa storia della città con le sue acque, un nuovo capitolo si aprì nel Cinquecento quando Roma conobbe un certo risveglio urbanistico. Ripristinati gli acquedotti, captate nuove sorgenti, Roma torna ad essere la regina aquarum che era stata un tempo. Anzi lo diventa con tale abbondanza da fare dell’acqua, tra tutti gli altri impieghi, un vero e proprio elemento architettonico.
La Roma seicentesca, grazie soprattutto al genio di Gian Lorenzo Bernini, diventa una città ornata da spettacolose fontane quale nessun’altra città al mondo aveva mai visto. La fontana dei fiumi in piazza Navona, a parte le possenti raffigurazioni allegoriche, si presenta con lo strepitoso contrasto tra la rigidità della pietra e la frusciante mobilità della sua parte liquida. La fontana detta della Barcaccia in piazza di Spagna, viene modellata nella sua allusiva forma sinuosa, affondata nel suolo perché la pressione disponibile non consentiva al getto di raggiungere altezze superiori.
Non c’è piazza non c’è crocevia romano che non abbia la sua fontana grande o piccola, dalla deliziosa, delicatissima fontana delle tartarughe in piazza Mattei (progetto di Giacomo Della Porta, fine XVI sec.) fino allo spettacolare apparato di Fontana di Trevi (Nicola Salvi, 1732) che è fontana, teatro, emblema di una città che continuò a credere nelle sue fontane anche dopo essere stata riunita al Regno d’Italia; lo dimostra la stupenda fontana delle Naiadi in piazza Esedra o della Repubblica (Mario Rutelli, 1901) per le cui procaci figure ignude, immobili sotto l’impeto del getto, si disse aver posato una cortigiana di grande notorietà e bellezza. I seminaristi che attraversavano la piazza erano obbligati a girarsi per non essere turbati dallo spettacolo.
Il rapporto tra Roma e l’acqua compone insomma una grande storia ora drammatica ora gloriosa. Né per il primo aspetto né per il secondo merita l’avvilimento dell’attuale situazione.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
L’area dove sorge il Colosseo fu prosciugata per dare il via ai lavori di costruzione La prima vera crisi si verificò con i barbari che distrussero la rete di approvvigionamento
L’OPERA DI GIAN LORENZO BERNINI
La Roma seicentesca venne ornata da spettacolari fontane: una fra tutte, la fontana dei fiumi a Piazza Navona di Gia

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