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Un furgone fa strage sulla Rambla, oltre cento feriti. Si teme per la vita di un italiano. Islamisti uccisi a Cambrils
COSÌ LA SPAGNA RITROVA LA PAURA
ROBERTO TOSCANO
NON è soltanto per doverosa prudenza professionale che la polizia ha atteso un’ora prima di definire come terrorismo quello che era accaduto al centro di Barcellona, con decine di passanti travolti da un furgone salito sul percorso centrale, pedonale, delle famose Ramblas, una delle più belle e più frequentate passeggiate, soprattutto in questa stagione estiva.
Il fatto è che per la Spagna risulta particolarmente duro e sconcertante accettare che, a tredici anni dagli attentati della stazione di Atocha — e quando la sanguinosa storia dell’Eta sembra possa essere ormai archiviata — il Paese sia nuovamente bersaglio del terrorismo.
Chi come me vive da molti anni in Spagna può testimoniare del fatto che, pur in presenza di una politica non priva di asprezze e in una società dove certo non mancano problemi, controversie e polemiche, gli spagnoli non si lasciano andare al pessimismo, e non vivono nel timore. Non quello della criminalità, che esiste, seppure senza le caratteristiche delle nostre mafie, ma che non ha fatto cambiare le abitudini dei cittadini, e delle cittadine, che si possono vedere a passeggio per le città a qualsiasi ora della notte.
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Lo sgomento dei turisti sulla Rambla dopo l’attacco, sulla sinistra il paraurti del furgone FOTO: ©DAVID ARMENGOU/EPA
EFINO ad oggi, nemmeno del terrorismo. Ma da ieri le cose possono cambiare. Esiste qui, come rivelano tutti i sondaggi di opinione, una sostanziale fiducia nello Stato, che viene tenuto distinto dai partiti e dalla politica, anche in Spagna come da noi oggetto dei più bassi indici di gradimento.
Lo Stato spagnolo ha in effetti resistito alla sfida del terrorismo basco, e per quanto riguarda il terrorismo di matrice islamista va ricordato che in occasione delle bombe di Atocha, nel 2004, i cittadini avevano reagito con compostezza senza lasciarsi andare al panico e, nonostante i responsabili fossero di origine marocchina, all’islamofobia.
Inoltre, anche se ultimamente si è registrata un’impennata negli sbarchi di migranti, in Spagna non si percepisce la paura di un’invasione incontrollata e la questione migrazioni non è oggetto di veri scontri politici. Anche qui si riflette una certa fiducia nello Stato, che finora è riuscito a contenere il fenomeno soprattutto sulla base di intese con il Marocco — uno Stato, va detto, che anche a noi italiani, alle prese con il caos libico, farebbe piacere poter avere come interlocutore sull’altra sponda del Mediterraneo.
Ma il terrorismo, quello che non ha bisogno di aerei dirottati, di bombe e di kalashnikov ma al quale basta un comune veicolo, è un’altra cosa. Nemmeno lo Stato più credibile e meglio organizzato lo può prevenire, e gli episodi si stanno susseguendo colpendo a turno, uno a uno, i Paesi di un’Europa che non sa come difendersi.
Certo, c’è da sperare che la risposta degli spagnoli non sia diversa da quella, da cittadini responsabili, del 2004, che nemmeno ora si diffondano isterismo e xenofobia, e che invece, anche in questo momento di forti tensioni per le spinte separatiste, la reazione del popolo spagnolo sia soltanto quella della massima solidarietà: “Siamo tutti catalani”.
Ma la sfida è grande: non sarà facile nemmeno per gli spagnoli non cedere alla paura ed evitare di illudersi di prevenire il terrorismo sulla base di inasprite misure poliziesche. Anche per la Spagna, come per tutti noi, è diventato drammaticamente urgente affrontare un fenomeno che ormai non dipende dal punto di vista organizzativo e logistico dalle centrali del jihadismo transnazionale (Al Qaeda, Stato Islamico), che pure lo alimenta ideologicamente e spesso se ne gloria a posteriori, ma che è il prodotto complesso di frustrazioni individuali e rivendicazioni collettive, il tutto potenziato dall’intensità che viene fornita da una versione integrista e violenta dell’islam.
Una ragione in più per renderci conto del fatto che, visto che siamo tutti bersagli, nessuno può ritenersi al riparo, nessuno può pensare né di essere un’eccezione né di difendersi da solo, né tanto meno di concludere “paci separate” con il terrorismo.
Anche per questo serve più Europa. Più integrazione, più solidarietà.
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