CULTURA
L’APPARECCHIO
EDGARDO FRANZOSINI
Entrambi nati alle Canarie si dedicarono, l’uno a correggere la sfasatura fra calendario gregoriano e solare, l’altro a inventare un gigantesco Orologio Enciclopedico
Un cilindro che permette di sapere, nello stesso istante e con precisione, che ora sia in tutti i luoghi del mondo
Il tempo, o meglio: la sua esatta misurazione, l’ordinamento rigoroso del suo procedere (ma anche il rilevamento del moto di ogni cosa mutabile) sono stati, per i cugini Alemany, la passione e l’assillo di tutta un vita. Dopo un’adolescenza e una prima giovinezza trascorse insieme, nella stessa casa, ad Andratx nelle Canarie, le esistenze dei due cugini subiscono, alla fine del 1930, una brusca separazione. Manuel Gerardo si trasferisce, con la famiglia, nella provincia valenciana ed entra nella Guardia Civil, José Simó, che ha iniziato ad imparare il mestiere di vasaio nella bottega di un artigiano maiorchino, rimane
sull’isola. È nella caserma di Requena dove resterà per più di trent’anni (finirà modesto sergente) che Manuel Gerardo concepisce l’idea del “Calendario Sistematico e Universale della Guardia Civil”. Due libri lo guidano e lo incoraggiano nel suo progetto:
El arte de comprobar los días del gesuita Segundo Hevia, e Frutos que todavía se recogen en el calendario gregoriano, in cui il matematico e filosofo Marcos Delgado, aveva esposto, ai primi dell’Ottocento, alcune considerazioni utili a correggere: «l’errore dei 25,96 secondi». La differenza cioè tra la durata dell’anno nel calendario gregoriano e quella effettiva dell’anno solare.
Dopo la loro lettura Alemany decide di impegnarsi — strenuamente, con metodo, ma senza tuttavia mai venire meno ai suoi doveri e alle sue responsabilità di carabinero — nella ricerca di un sistema che possa correggere quella che egli avverte come «un’intollerabile discrepanza». Le sue proposte, alla fine, non si discosteranno molto dalle soluzioni che, dopo la modifica del calendario giuliano, i tanti aspiranti riformatori hanno immaginato, lungo i secoli, di applicare: soppressione di un giorno ogni 128 anni, giorni bianchi, settimane fuori tempo, anni doppiamente bisestili e così via. Ciò che, in definitiva, varrà al calendario di Alemany qualche momento di notorietà, e anche la stima di non pochi spagnoli, sarà il fatto di aver previsto la sostituzione dei nomi dei dedicatari tradizionali, vale a dire i santi canonici, con il nome di soldati e graduati della Guardia Civil distintisi durante il servizio per atti di coraggio o eroismo (per darne un’idea: il 24 giugno, San Giovanni, era dedicato al caporale Luisito Bernal; il 14 agosto, festa dell’Assunta, si sarebbe invece dovuto onorare il nome del generale Marcos Martin Sielva).
Veniamo adesso al al cugino di Manuel Gerardo: José Simó. Qualcuno ha voluto accostare la sua figura a quella di un altro inventore: Jesús Pica Planas. Forse perché entrambi spagnoli, forse perché entrambi isolani (uno delle Baleari, l’altro delle Canarie). Le analogie tra i due però finiscono qui. Se infatti a Planas possono essere attribuite 79 invenzioni (dalla bici a ruote ellittiche per imitare l’andatura del cavallo, al rimescolatore automatico di carte da gioco) Alemany è stato il creatore di una sola grandiosa macchina: l’Orologio Enciclopedico. Non sono pochi ad aver indicato nel movimento circolare ed ininterrotto del tornio, su cui gli occhi del giovane ceramista trascorrevano intere giornate, il primo germe di quella fascinazione per lo scorrere delle lancette sul quadrante dell’orologio che lo spingeranno a ideare il suo favoloso strumento per la misurazione del tempo.
Detto che, a parere di alcuni, la vera molla che lo convinse a dare esecuzione al suo progetto sarebbe stato l’aver letto un giorno, sulle pagine di un prontuario di fisica, questa considerazione: «non esiste il tempo, esistono gli orologi», passo ad illustrare la macchina di Alemany, così come ho avuto la fortuna di ammirarla ad Andratx, in un vecchio granaio pieno di topi e di insetti, accanto alla casa in cui José Simó ha vissuto tutta la vita, e nel quale è custodita ancora oggi. La gigantesca apparecchiatura ha la forma di un cilindro (forse per la suddetta predilezione di Alemany per ogni cosa che fosse circolare). Sul cilindro sono disposti, uno accanto all’altro, un gran numero di quadranti d’orologio di tutte le specie e di tutte le dimensioni. Le pareti del granaio sono insonorizzate con un quadruplo strato di contenitori per uova imbottiti di argilla: i residui del lavoro di vasaio di José Simó. Questa è la ragione per cui dall’esterno non è possibile percepire il suono di quell’infinito tic-tac che invece all’interno avvolge completamente il visitatore.
Nonostante la polvere che lo ricopre, sono più di 45 anni che l’Orologio va senza fermarsi. Don Horacio Calatrava, un ometto grasso dalla faccia malrasata, parroco della chiesa della Mare de Déu e cognato di Alemany, lo ricarica una volta alla settimana. Qualche cifra: la macchina misura in altezza 6 metri e 10 centimetri, la sua circonferenza è di 14 metri esatti, il peso di circa una tonnellata; i quadranti sono 482, le lancette 895. Sotto ogni singolo orologio è posto un cartellino scritto a penna (l’inchiostro su alcuni è ormai sbiadito) con il nome di una località: Praga, Albuquerque, Kioto, Harar, Odessa, in modo da permettere di sapere, nello stesso istante e con la massima precisione, che ora sia in tutti i luoghi del mondo. José Simó, mi ha assicurato il cognato, ha costruito la macchina servendosi di cacciaviti, pinze, lime, martelli e seghetti, e recuperando oltre che meccanismi di vecchi orologi, anche motorini di tergicristalli inutilizzati, pezzi del “meccano”, molle di carillon e di trappole per topi, ingranaggi di elettrodomestici. Le corone dentate che trasmettono o ripartiscono il movimento — Alemany teneva una meticolosa contabilità — ammontano a 1987.
Se ci si avvicina al gigantesco cilindro si scopre che non tutti gli strumenti che lo compongono sono orologi. La macchina di José Simó è programmata per calcolare non solo l’ora in tutti gli angoli del mondo, ma anche l’ora in cui sorge e cala il sole su tutto il globo, le fasi della luna, la collocazione delle costellazioni nell’universo, i movimenti di traslazione che compie la Terra attorno al sole, quelli di rotazione che effettua attorno al suo asse, quelli di rivoluzione che esegue attorno alla luna, gli anni bisestili, il passaggio del sole su ogni meridiano, lo zodiaco e persino, sebbene con un certo grado di approssimazione, come con modestia ammetteva lo stesso José Simó, il grado di incidenza dell’attività dei principali vulcani sull’intensità, l’ampiezza e la frequenza delle maree. La morte ha impedito ad Alemany di portare a termine l’opera. Progettava infatti di aggiungere altri strumenti di misurazione al suo Orologio Enciclopedico, tra cui, anche questa notizia la devo al parroco della Mare de Déu, un meccanismo per calcolare i cicli mestruali e un altro che misurasse il variare della percezione olfattiva susseguente all’addensarsi delle nuvole nel cielo o all’accumularsi delle foglie secche per terra.
( 3. Continua)
LA SERIE
Con questo ritratto dei cugini Alemany ( in basso, José Simó Alemany) prosegue la serie estiva Gli outsider: storie di personaggi fuori dagli schemi, poco conosciuti o dimenticati, firmati dallo scrittore Edgardo Franzosini