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I cent’anni del mito JFK e il grande vuoto dell’America

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29/5/2017
MONDO
L’ANNIVERSARIO

VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON
C’È un vuoto nel cuore dell’America, che in mezzo secolo nessuno è riuscito a colmare. Porta il nome di John Fitzgerald Kennedy. Avrebbe avuto oggi cent’anni, JFK, essendo nato a Brookline, in Massachusetts il 29 maggio del 1917 e l’ironia della sua vita trafitta ad appena 46 anni di età è che oggi sarebbe comunque morto, ma la sua morte è diventata la vita eterna dell’opera incompiuta.
Kennedy è il mito che, come tutti i miti, non è mai esistito e per questo esisterà per sempre, inossidabile da qualsiasi rivelazione, illuminato da immagini incantevoli di First Lady diafane ed eleganti, di bambini felici e poi trafitti nell’incomprensione del dolore, immortale proprio perché l’incompiutezza di quei pochi giorni alla guida dell’America anni ’60 rendono impossibile qualsiasi sentenza definitiva. A lui, quei proiettili calibro 6,5 sparati da una carabina “Made in Italy”, a Terni, risparmiarono la possibilità di una sconfitta elettorale, il languore inconcludente di un secondo mandato, le fatiche della vecchiaia, consegnandolo alla fissità di un’iconostasi ortodossa, adorna di santi e divinità immobili come nell’album di queste pagine.
Dunque ogni paragone con chi lo ha seguito, in quell’ufficio dalle cui finestre lui guardava il giardino della Casa Bianca con il volto nella penombra del presentimento, diventa automaticamente arbitrario, da quel Lyndon Johnson che lui disprezzava, essendone ricambiato, fino all’inquilino di oggi, Donald Trump. A molti dei suoi successori, l’ansia di riempire quel vuoto nel cuore ha appiccicato l’etichetta del “Nuovo Kennedy”: a Carter per la giovane età, a Clinton per il riformismo moderato e per una ben nota propensione per le avventure amorose, a Obama per il salto di generazione e di storia personale, JFK il primo cattolico presidente come Barack il primo afroamericano.
Ma se nessuno oggi, nel giorno della celebrazione del centesimo non-compleanno, si sognerà di ipotizzare una simile eresia, è forse proprio Donald Trump, così fisicamente, umanamente, intellettualmente diverso da lui, quello che ha più in comune, un “Nuovo Kennedy” alla rovescia, un “Contro-Kennedy”. Tutti e due questi uomini ai poli opposti della “Americanità” hanno portato alla Casa Bianca una promessa e una speranza gonfie di passione. Nel ragazzo dal sorriso dentato, dal ciuffo denso e vero mosso dal vento dell’Atlantico a Hyannisport, era speranza positiva, sintetizzata nelle mirabili frasi dei suoi speechwriter alla Corte di Camelot, «la fiaccola», «la nuova generazione», i «sacrifici da offrire e non da chiedere alla patria». Nell’omone dall’improbabile criniera, speranze e promesse sono altrettanto intense, ma in negativo, tradotte in muri, isolamento, risorgimento a spese del resto del mondo, arroccamento in un’America immaginaria e rimpianta di perdute grandezze. Che è, ma questo Trump non lo capisce, esattamente l’America di Kennedy, quella di Detroit e delle acciaieria fumanti, dell’auto dalle enormi pinne cromate, della schiacciante superiorità tecnologia e industriale materializzata nella corsa vittoriosa alla Luna, della classe operaia pagata 25 dollari all’ora – una fortuna – e promossa a “classe media”.
È il vuoto scavato dalla morte di JFK nel cuore della storia americana quello che Trump promette di riempire di rabbia e di odio, venendo ferocemente detestato da chi non lo condivide come odiato era John F. Kennedy, soprattutto in quel Sud dove andò a incontrare la propria fine. Lui sognava il futuro, con il telegenico cinismo di chi non aveva illusioni, ma senza paura o vendette, diffondendo speranza nella nidiata di ragazzi esplosa con il boom della natalità postbellica. Trump teme il futuro, rimpiange il passato, alimenta il rancore e la paura. Era già un teenager, aveva quindici anni, The Donald, quando vide entrare in quella Casa Bianca - dove ora lui oggi, occasionalmente, abita - John F. Kennedy, che parlava a lui, ai suoi coetanei, all’America giovane. Ora è una nazione dominata da vecchi amareggiati e paurosi, quelli che furono giovani nel 1961 e sono precipitata nel vuoto aperto da Kennedy dentro il cuore dell’America.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
LE IMMAGINI / 2
La famiglia Kennedy nell’agosto 1962 a Hyannis Port. A sinistra, i funerali solenni di JFK, celebrati a Washington il 25 novembre 1963. Qui a destra, il presidente vicino al Muro di Berlino nel giugno di quello stesso anno. Sotto, Kennedy con i fratelli Robert e Ted. In basso, l’attentato di Dallas del 22 novembre 1963, con Jackie Kennedy piegata sul cofano dell’auto presidenziale

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