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A rischio la stretta sugli ascolti Renzi dice no alla fiducia l’ira di Orlando: così salta tutto

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politica e giustizia
Il retroscena.
Nel ddl sul processo penale c’è la delega per limitare la pubblicazione. L’ex premier: “Non mi faccio accusare di volere il bavaglio”

LIANA MILELLA 
TIZIANO RENZI
ROMA.
Renzi, «non voglio adesso una legge sulle intercettazioni che faccia dire “eccolo qui, vuole il bavaglio”». Orlando, «il giorno in cui ci si stracciano le vesti (leggi, Renzi, ndr.) sulle intercettazioni si blocca, negando la fiducia, proprio la legge che potrebbe limitarne l’uscita». Le primarie del Pd sono alle spalle, ma quest’ultima puntata sulle intercettazioni dopo la telefonata Renzi figlio-Renzi padre, ha tutto il sapore, come dicono i parlamentari fedeli al ministro della Giustizia, «dell’ultimo strascico congressuale». Una partita dura, la cui palla è il disegno di legge sul processo penale, ddl monstre di 40 articoli, in ballo ormai dal lontano 30 agosto 2014, che contiene anche una delega sulle intercettazioni, dietro la quale c’è chi, come la Fnsi, intravvede il rischio bavaglio per la stampa. Si tratta di una stretta, sia sulle pubblicazioni delle registrazioni, sia sul loro uso e gestione da parte di pm e giudici. Peraltro anticipata dalle circolari interne che procure come Torino, Roma, Napoli e Firenze si sono già data.
«Bavaglio», una brutta parola per Renzi, che ricorda troppo gli interventi censori di Berlusconi, e che l’ex premier non vuole assolutamente vedersi appioppata addosso. Neppure in queste ore di collera, quando Renzi ha posto il veto sul voto di fiducia alla Camera sul ddl penale. Perché, ha spiegato ai suoi, «se la mettiamo poi tutti diranno che io ho fatto approvare una legge per imbavagliare la stampa». Il capogruppo a Montecitorio Ettore Rosato minimizza, «la fiducia non serve, i numeri ci sono, anzi se la mettiamo l’effetto è solo quello di irritare i partner del governo». In realtà i numeri sono assai stretti perché, tranne il Pd, la legge non la vota nessun altro per differenti ragioni.
A 24 ore dalla decisione – lo stop alla fiducia è di lunedì, deciso in una “cabina di regia” alla Camera – il Guardasigilli Orlando è visibilmente irritato. Dice: «Io sono convinto che la fiducia vada messa, e subito, altrimenti il provvedimento non arriva in fondo, per cui poi è inutile polemizzare con l’uscita delle intercettazioni ». Parlerà con Renzi? Orlando è netto: «Appena rientra in Italia, io parlerò con Gentiloni, è lui il mio referente». Perché spetta al consiglio dei ministri autorizzare la fiducia.
Ma più di un “nemico” congiura, al momento, contro un rapido via libera del ddl penale. Che, merita ricordarlo, ha molti detrattori: l’Anm, le Camere penali (in sciopero dal 22 al 25), gli alfaniani per via della prescrizione lunga, tant’è che proprio da loro è arrivato il primo altolà alla fiducia. Lo stesso Renzi ha fatto molto “penare” Orlando facendo cadere dall’alto il voto di fiducia, già quando era premier. Un niet politico, negando al Guardasigilli di mettere il suo nome alla “legge Orlando”.
Ma stavolta il suo veto – tutto legato alle intercettazioni – rischia di essere esiziale per la legge. E questo spiega la collera di Orlando e dei numerosi orlandiani intervenuti in Parlamento, da Rossomando a Berretta. Spiega la minaccia di dimissioni della relatrice e presidente della commissione Giustizia Ferranti. E le parole di Walter Verini, il capogruppo del Pd in commissione: «Finora il Pd è stato compatto, ma senza la fiducia è complicato portare a casa questo provvedimento che conta ben 600 emendamenti, di cui molti con voto segreto».
Già, proprio questo è l’ostacolo su cui lo stop di Renzi alla fiducia rischia di bloccare la “creatura” di Orlando. Il ddl andrà in aula lunedì 22, ma a questo punto solo per la discussione generale. Con la fiducia, come dice Verini, «non ci sarebbero problemi», ma senza bisogna fermarsi. E Orlando già intravvede un futuro limbo per il ddl. Perché l’11 giugno ci sono le amministrative, poi la legge elettorale su cui l’apporto degli alfaniani è fondamentale, poi ancora i ballottaggi. Ma magari a quel punto – ragionano i renziani – tutti si saranno scordati della telefonata Renzi figlio- Renzi padre e si potrà mettere la fiducia. Poi ci vorranno tre mesi per la delega sulle intercettazioni. Ma così si arriva al panettone, e magari prima alla crisi di governo.
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Rosato: “I numeri per approvare ci sono”. Ma gli alfaniani vogliono modificare la parte che riforma i tempi della prescrizione
FOTO: © ANSA
Il padre del segretario pd nasce a Reggello (Firenze) nel 1951. È sposato con Laura Bovoli e ha quattro figli: Benedetta, Matteo, Samuele e Matilde. Negli anni Settanta in politica come consigliere comunale a Rignano. Oggi milita nel Pd

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