CRONACA
Il verdetto dopo quattro ore di camera di consiglio nel processo Eco 4. Il pm Milita: “Soddisfatto della fondatezza del nostro lavoro”
DALLA NOSTRA INVIATA
CONCHITA SANNINO
SANTA MARIA CAPUA VETERE. Game over, 9 anni di carcere. Dopo quattro ore di camera di consiglio, e 5 anni di processo, il Tribunale condanna Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia, ex deputato ed ex coordinatore di Fi e Pdl in Campania. E gli addebita l’accusa più grave che si possa contestare a un uomo che è stato per quattro legislature parlamentare ed esponente delle istituzioni: concorso esterno in associazione mafiosa. Con il gotha del cartello dei casalesi. È il processo più importante dei cinque (complessivamente, tra Napoli e Roma) che vedono coinvolto l’ex plenipotenziario di Berlusconi in Campania.
Cade solo l’ipotesi di riciclaggio. Ma Cosentino frana definitivamente per il suo potere nella Eco 4, il consorzio per la gestione dei rifiuti: il perno intorno a cui ruotava tutta l’accusa. Cosentino, stando alla conclusione cui giunge il collegio - presidente Giampaolo Guglielmo, giudici Pasquale D’Angelo e Maria Rosaria Dello Stritto - è stato dunque «almeno fino al dicembre 2005» referente del clan, il volto pulito di
Gomorra nel cuore della politica e del governo berlusconiani. Il verdetto infligge anche le pene accessorie: interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale durante la pena e pagamento delle spese processuali.
Il pm Alessandro Milita aveva chiesto 16 anni, ma alla fine di un lunghissimo percorso si dice «soddisfatto, il lavoro della Procura era fondato e solido». Cosentino va via prima che venga letto il dispositivo, lo accompagnano di nuovo verso i domiciliari anche i due figli, gemelli 22enni, che avevano ascoltato in silenzio l’ultima parte del dibattimento.
L’ultimo duello, nell’Aula A, vede fronteggiarsi fino alle 14 accusa e difesa, rappresentata dagli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro. Il pm Milita ricorda, con un passaggio molto affilato che, una volta trapelata la notizia di indagini in corso sull’allora potente Cosentino nel 2008, egli provò, con un emendamento e poi una riesumata proposta di legge, a «dividere la Dda, immaginando una sezione distaccata del pool a Santa Maria Capua Vetere ». E Milita aggiunge che «verosimilmente, a guidare la sezione distaccata sarebbe stato un magisrato che è provato avesse intensi rapporti con i fratelli Orsi e con Cosentino, cioè Donato Ceglie ». I legali Montone e De Caro replicano con durezza, tornano a parlare di «clamorose contraddizioni, incoerenze» della ricostruzioen accusatoria. E domandano al pm: «Cosa c’entra questo accostamento? Se questa è la cultura del sospetto che muove le teorie dell’ufficio di Procura, allora dobbiamo rifiutarci di discutere? Chiediamo che il collegio riconosca invece l’innocenza dell’imputato e liberi Cosentino da questo calvario». Ma la sentenza spazza via le speranze, sotto il peso dei 3285 giorni di carcere inflitti - al netto degli altri gradi e dei benefici di legge.
Il processo era centrato sulla reale titolarità della Eco 4, ex consorzio dei rifiuti di cui, stando alle dichiarazioni del pentito Gaetano Vassallo, stake older dei rifiuti dei casalesi, Cosentino era il deus ex machina. Addirittura provando a tracciare un disegno imprenditorial-mafioso alternativo a quello che la Regione aveva messo in piedi con Fibe-Fisia Italimpianti. La camorra voleva costruire il “suo” termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. « Eco 4 è una mia creatura, la Eco 4 songh’io », avrebbe detto all’epoca Cosentino a Vassallo. Che aveva raccontato ai pm di esser stato ricevuto da Cosentino a casa sua, e di avergli chiesto di assumere ruoli e potere in una società di Eco 4. Cosentino lo avrebbe stoppato solo in ragione di nuove alleanze criminali. «Cosentino mi spiegò che ormai gli interessi economici del clan dei Casalesi si erano focalizzati, per l´attività in questione, nell´area controllata dagli Schiavone. Quindi, il gruppo Bidognetti era stato “fatto fuori” in tale area». Un sottosegretario che parlava come un padrino. Era un’ipotesi. Da ieri, per la giustizia, almeno in primo grado, è un fatto.
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L’accusa aveva chiesto 16 anni. La decisione dopo 5 anni e 8 mesi di dibattimento