COMMENTI
TONY BLAIR
LA DOMANDA urgente di un pensiero lucido, o la sua grave penuria, non si faceva sentire così acutamente da quando sono sceso in politica,quarant’anni fa.
La Gran Bretagna procede rapida verso l’attuazione dell’Articolo 50, il che implica che da marzo prossimo saremo coinvolti in un negoziato per uscire dall’Ue. Ci accingiamo a ciò senza avere un’idea chiara di quello che significa uscire dall’Ue e dal Mercato unico europeo. Nondimeno, qualsiasi invito a rallentare è deplorato alla stregua di un rifiuto della volontà popolare. Ci viene ricordato di continuo che il popolo britannico «si è espresso». Ciò è vero, ma non c’è un motivo per rimanere in silenzio o accettare qualsiasi versione di Brexit finiremo col negoziare. Possiamo benissimo andare avanti a parlarne e discuterne. Questa si chiama democrazia. La nostra “volontà” non è espressione immutabile delle nostre idee.
In primo luogo, vediamo la tesi secondo cui possiamo scegliere tra diversi tipi di Brexit ma ci è precluso scegliere di non realizzarla. Cerchiamo di chiarire le cose. Sapevamo di votare sull’uscita dall’Ue. Non sapevamo qual è l’alternativa all’appartenenza all’Ue. All’epoca è stato come approvare un cambio di casa senza aver visto quella nella quale si andrà ad abitare. Ci sarà un negoziato. E, a mano a mano che andrà avanti, saremo molto più consapevoli di quanto siamo adesso. Basti pensare a quanto ne sappiamo oggi. La nostra moneta ha subìto la più brusca svalutazione che ci sia mai stata dal Mercoledì Nero. Naturalmente, ciò rende più economiche le esportazioni. Se l’inflazione dovesse aumentare, però, le famiglie dei lavoratori attivi che ricevono sussidi vedranno diminuire le loro entrate. Nei loro piani di investimento alcune grandi aziende stanno già dando segnali di cambiamento — anche in questo caso sfavorevole. Molte altre preferiscono attendere ciò che i negoziati comporteranno. Ricordo l’efficace slogan del referendum, incollato su un autobus della campagna, annunciare stentoreamente 350 milioni di sterline in più alla settimana per il Servizio sanitario nazionale. Oggi di quest’ultimo — prossimo alla crisi — non si parla quasi più, perché l’attenzione è rivolta ai tentativi di ridurre al minimo le spese di Brexit.
Se la spesa alimentare diventerà più cara a causa dei più alti costi delle importazioni, a risentirne di più saranno le famiglie a basso reddito. Presto sarà anche necessario dimostrare la totale infondatezza di un’altra illusione, quella secondo cui negozieremo tutto ciò insieme a una cricca di astuti imprenditori tedeschi. Lo stallo nel trattato commerciale Ceta tra Canada ed Europa mostra che il potere è nelle mani di politici che si comportano come fanno spesso i politici quando tutelano interessi campanilistici a discapito del bene comune. Solo che nelle nostre trattative saranno coinvolti 27 politici di questo tipo, più il Parlamento europeo! In simili circostanze, è stravagante affermare che, avendo preso la nostra decisione, adesso sia impossibilemodificarla o rettificarla. La questione non è capire se ignoriamo la volontà del popolo, ma se a mano a mano che si acquisiscono informazioni, la “volontà” popolare non stia evolvendo. Abbiamo il diritto di cercare di persuadere la gente e di sostenere un’argomentazione senza essere criticati perché affermiamo che quella decisione rappresenta una catastrofe per il Paese che amiamo. In questo momento c’è un punto su cui dobbiamo averla vinta: mantenere praticabile ogni opzione.
Dobbiamo rispettare il voto popolare. Ma anche credere che i cittadini possano considerare un’argomentazione migliore. Dobbiamo creare la capacità di mobilitare. Dobbiamo rompere l’alleanza che ci ha portato a Brexit. Non si tratta di un evento dissennato: la Gran Bretagna dovrebbe affrancarsi dai vincoli che l’Europa impone e dal suo modello socialdemocratico, e offrirci un nuovo modello economico. Si tratterebbe di creare un libero mercato, libertà di commercio, normative light, una bassa imposizione fiscale e minori tutele sociali. Non è una visione impossibile. Ma non è ciò per cui i sostenitori di Brexit hanno votato.
Il Servizio sanitario nazionale? Troppo costoso. Un numero inferiore di migranti? Ne avremmo bisogno. Una rappresentanza di lavoratori nei consigli di amministrazione e un capitalismo più equo? Non rientrano in questo modello. Ma che senso avrebbe lasciare l’Europa per poi importarne le leggi sul lavoro? Il nostro vantaggio competitivo starebbe nell’assenza di simili normative. Questa visione è di un futuro che potrebbe funzionare. E tuttavia non è il futuro per il quale si è espressa la Gran Bretagna. Né sono sicuro che così potrebbe avvenire e ci troveremmo nella situazione peggiore: esclusi dal mercato europeo, ma soggetti al modello vigente alle sue frontiere. La dolorosa ristrutturazione si trasformerebbe in una perdita permanente di reddito e in un Paese più povero.
Ma non basta. Dobbiamo dare risposte alle domande di importanza cruciale sollevate dalla Brexit e dalla situazione politica odierna. La Brexit è una conseguenza delle politiche in evoluzione nel mondo occidentale. Il centro è spinto ai margini da un virulento populismo di sinistra e di destra. I politici di centro si sentono così malridotti da assumere per difetto una specie di scomoda consonanza con il populismo. Dobbiamo essere in grado di dare risposte alle pressioni e alle ansie sugli immigrati; alla sensazione che dopo i cambiamenti della globalizzazione troppe persone siano state lasciate indietro; alla preoccupazione per i redditi stagnanti, la penuria di alloggi e il sovraccarico dei servizi pubblici. In nessun caso dovremmo cedere alla rabbia. Anzi, dovremmo poterla canalizzare nell’unico modo che funziona: con soluzioni concrete che portino cambiamento. Se non lo faremo, è indispensabile capire che quella rabbia non scomparirà. Presto arriverà un’altra ondata di progressi tecnologici. Il mondo in via di sviluppo andrà ancora più avanti. La sfida della globalizzazione diventerà maggiore. Se non saremo riusciti a far comprendere quali sono le risposte a questa sfida allora cadremo preda di un’incursione nel populismo ancora più sconsiderata di quella sperimentata fino a questo momento.
Dall’intero dibattito post-Brexit è assente un unico elemento, fondamentale: come influenzeremo la controparte del negoziato. Sappiamo che il voto britannico è stato simbolico di una percezione europea diffusa. L’Europa farebbe bene a procedere a un esame di coscienza. I suoi fallimenti sono stati decisivi per il successo della Brexit. Dalla Difesa europea alle trattative commerciali con gli Stati Uniti, l’Europa è più debole senza la Gran Bretagna. Molti europei lo sanno. Adesso dovremmo collaborare con loro. Rimanere non significa rimanere in un’Europa identica.
Il mondo oggi è pericoloso perché la politica in Occidente sta correndo il rischio di perdere la sua capacità di negoziare e la sua natura. Brexit ha sempre voluto dire qualcosa di più di “uscita della Gran Bretagna dall’Ue”. Ecco quindi che torno su un punto centrale: manteniamo aperte le nostre opzioni. Siamo un popolo sovrano. Possiamo prendere una decisione e possiamo cambiare idea. Decidere di farlo dipende soltanto da noi.
Traduzione di Anna Bissanti Copyright The New European ( Questo articolo è stato pubblicato su The New European, un nuovo giornale per coloro che in Gran Bretagna vorrebbero restare nella Ue)
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